Giornata Internazionale contro le Mutilazioni Genitali Femminili
CulturaSi celebra ogni anno, il 6 febbraio, la giornata internazionale di tolleranza zero contro le mutilazioni genitali femminili, un fenomeno molto diffuso, infatti in 7 Stati , Egitto, Eritrea, Gibuti, Guinea, Mali, Sierra Leone e Somalia, oltre che nel Nord del Sudan, il fenomeno tocca praticamente l’intera popolazione femminile. In altri 4 paesi (Burkina Faso, Etiopia, Gambia, Mauritania) la diffusione è maggioritaria ma non universale.
Le mutilazioni genitali femminili (MGF), o pratica della infibulazione, una delle più terribili violazioni dei diritti umani, sono ritenute, in molte popolazioni dell’Africa subsahariana ed in alcuni paesi a predominanza islamica dell’Asia ( Iran, Iraq, Yemen, Oman, Arabia saudita ed Israele), una necessità sociale e morale sia per iniziare le adolescenti all’età adulta che per il mantenimento della coesione della comunità.
Inutile dire che tale pratica, che colpisce la sfera della sessualità femminile attraverso la rimozione totale o parziale degli organi genitali femminili, è un’azione che mira alla sottomissione della donna anche dal punto di vista psicologico e fisico, infatti tale prassi tende a rimuovere la clitoride per impedire alla donna ogni forma di piacere e ridurla a solo oggetto di piacere maschile. Le mutilazioni genitali femminili prevedono oltre alla rimozione del clitoride, anche delle piccole labbra, parte delle grandi labbra ed inoltre una cucitura finale della vulva che lascia solo un piccolo foro per la fuoriuscita dell’urina e del sangue mestruale.
Tale azione non è una pratica medica o chirurgica, ciò nonostante è diffusa in oltre 30 paesi. Le donne, paradosso dei paradossi, sono infibulate da donne della stessa comunità alle quali è stato conferito questo incarico. Alcune donne sono poi infibulate e deinfibulate diverse volte nel corso della loro vita, a seconda delle esigenze maschili.
L’intervento è praticato su bambine dai 4 ai12 anni con un coltello da cucina o una lametta da barba o pezzi di vetro, rasoi, utensili affilati, ovviamente senza anestesia , ad opera di stregoni, fattucchiere o parenti della” vittima” o comunque donne a loro volta infibulate durante l’infanzia.
Le ferite sono poi suturate con spago da sacco o con spine. Le gambe delle bambine vittime di tale barbarie, sono legate per 15 giorni, giorni di sofferenze atroci e inaudite che in alcuni casi portano a infezioni, emorragie e morte.
In Burkina Faso tutte le donne di tutti i gruppi etnici sono escisse e ciò è particolarmente importante per i Mossi, il gruppo dominante del paese; essi sono convinti che il clitoride sia un organo pericoloso in grado di causare impotenza negli uomini e uccidere i neonati alla nascita.
Nel 2016, seppure tale pratica sia stata definita illegale e fuorilegge, le mgf hanno interessato almeno 200 milioni di donne bambine. In paesi come il Kenya, il Sudan, l’Etiopia e la Somalia, l’incidenza del fenomeno tocca punte del 98 % della popolazione femminile. A tale pratica sono strettamente collegati fenomeni come l’abbandono scolastico e i matrimoni precoci.
In alcune tribù, le ragazze che non hanno subito la pratica dell’infibulazione vengono definite “bikaloro” cioè prive di ogni maturità e ciò diventa motivo di disonore ed estromissione dell’intero clan da tutta la comunità di appartenenza e ad essere isolati. Le mutilazioni genitali femminili sono viste inoltre come mezzo per conservare intatta la verginità.
Parlare di mutilazioni genitali femminili è ancora molto difficile perché si crede che tale pratica sia tipica solo di alcuni paesi lontani dalla nostra vita quotidiana dove le regole tribali e i dettami ancestrali valgono molto di più della legge dello stato, ma la realtà è che circa 500.000 donne in Europa hanno subito mutilazioni genitali e ogni anno 180.000 sono a rischio di subirle.
Ci sono però donne di quei paesi ove si praticano mutilazioni genitali femminili che hanno avuto il coraggio di rifiutare tale barbarie come Nice Nailantei Leng’ete, oggi ambasciatrice Amref contro le mutilazioni genitali femminili e che nel 2018 la rivista Time ha inserito tra le cento personalità più influenti al mondo.
Nice Nailantei Leng’ete, da bambina è fuggita con la sorella maggiore dal suo villaggio in Kenya per evitare il “taglio”, ma raggiunta dai familiari è stata ricondotta a casa dove però la sorella ha accettato di sottoporsi all’intervento per evitare a lei lo stesso destino.
Nel 2008, con un programma di Amref sulla salute femminile, Nice diventa educatrice della comunità grazie al fatto che lei avesse imparato a leggere e scrivere, cosa mal vista dalla sua comunità, le altre ragazze infatti, dopo il taglio, si erano sposate ed avevano avuto figli. Fu allora che iniziò la sua battaglia contro una tradizione che calpesta e spesso uccide le donne.
In Italia, con la legge 9 gennaio 2006, il Parlamento italiano tutela le donne da pratiche di mutilazione genitale nel rispetto degli articoli 2-3-32 della nostra Costituzione e di quanto deciso dalla Dichiarazione e dal Programma di azione adottati a Pechino il 15 settembre 1995 nella quarta Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulle donne. Inoltre è stato aggiunto al codice penale l’articolo 583-bis che punisce con la reclusione da quattro a dodici anni chi, senza esigenze terapeutiche, cagiona ogni forma di mutilazione degli organi genitali femminili.
Viviamo dunque in un mondo in cui ancora oggi esistono forme di sopraffazione inaccettabili verso le donne, in cui vengono calpestati i diritti delle donne ed il diritto di avere diritti, in cui “l’altra metà del cielo” deve sottostare a pratiche immonde e brutali per avere la possibilità di sopravvivere e trascina la propria esistenza fra doveri imposti dalla cultura cui appartiene, tra sottomissione, dolore e silenzio.
Spezziamo dunque quel silenzio, diamo voce a chi non ce l’ha, denunciamo l’anacronistica pratica di violenze contro le donne che umilia solo chi la esegue e fallisce nella costruzione di un’esistenza di collaborazione e costruzione di un futuro comune, oltre che legale, soprattutto appagante e produttivo a livello sociale.