(di Alessio Fragnito) – Quando sparirà la Guerra dalla Storia dell’Umanità?

(di Alessio Fragnito) – Quando sparirà la Guerra dalla Storia dell’Umanità?

Cultura

di Alessio Fragnito – Gli eventi di questi giorni hanno spinto molte persone a chiedersi come sia possibile che la Guerra sia tornata ad imperversare in Europa, uscendo dai libri di Storia per tornare a riempire le pagine dei quotidiani. Ma sebbene molti siano convinti del contrario, bisogna ricordare che dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi il Mondo non è stato mai realmente in pace e numerosi conflitti si sono succeduti nei diversi continenti, anche se con intensità decisamente minore rispetto al passato.
A questo aggiungiamo che, da quando esiste l’Uomo, oltre il 70% delle guerre combattute sul pianeta Terra si è concentrato nel continente europeo o ha visto il coinvolgimento delle nazioni europee al di fuori dei propri confini. Potrebbe essere utile quindi cercare di capire come mai la Guerra ha costituito, costituisce e purtroppo costituirà sempre una opzione politica da parte delle comunità umane che oggi vengono definite “nazioni” e che prima venivano semplicemente definite “popoli”.

Secondo le diverse teorie accademiche, la Guerra non è qualcosa che è sempre esistita, per cui ne consegue che non è affatto detto che debba necessariamente esistere per sempre. Se infatti nei suoi primi millenni di sviluppo l’Umanità non conosceva affatto la guerra tra esseri umani, ciò significa che possiamo sperare nella sua scomparsa definitiva. In base alle ricerche archeologiche, la guerra tra esseri umani è un fatto relativamente recente: l’Homo Sapiens ha almeno 140.000 anni di storia sulle spalle, la guerra ne ha molti di meno. Secondo le teorie dell’archeologa Maria Gimbutas, la guerra appare nella storia umana intorno all’ 8.000 a.C., quando le civiltà Kurgan, che possiamo definire “protoindoeuropee”, abbandonarono la Russia meridionale ed iniziarono a colonizzare i vari continenti, ed in particolare l’Europa, servendosi di alcuni strumenti innovativi, tra cui le prime armi in metallo. Come dimostrato dai ritrovamenti archeologici, infatti, per oltre mille anni il rame venne utilizzato esclusivamente per la produzione di gioielli femminili, e solo in seguito alla scoperta accidentale del bronzo, cominciarono ad essere realizzati oggetti che possiamo intendere come “armi” vere e proprie. Secondo altre teorie, invece, già durante l’era mesolitica, gli uomini iniziarono a farsi la guerra tra loro, utilizzando armi in pietra, come dimostrato ad esempio dalle asce e dai pugnali in ossidiana, rinvenuti in diversi continenti. In ogni caso parliamo di non più di 15.000 anni fa.

La guerra quindi nacque quando le civiltà umane smisero di collaborare tra di loro per far fronte alle difficoltà della vita quotidiana, incarnate da una Natura Glaciale che imponeva loro di fare fronte comune contro gli animali di grossa taglia e contro le difficoltà ambientali, ed iniziarono a competere per avere accesso alle risorse con cui garantire la sopravvivenza del proprio gruppo. Quando poi si passò dalla vita nomade alla vita sedentaria e i gruppi umani divennero più numerosi, la guerra iniziò a diventare una opzione politica, ovvero una scorciatoia per assicurarsi benessere e prosperità. Con la fine del nomadismo, l’uomo divenne produttore di cibo e quindi nacquero villaggi e città che potevano contare su un numero elevato di persone, le quali, ben presto, rinunciarono all’uguaglianza sociale e decisero che era arrivato il momento di far nascere la “società complessa”, nella quale viviamo ancora oggi, e che si basa sulla divisione tra “classi sociali”.

Quasi tutti gli studiosi convergono sul fatto che ben presto la società umane si organizzarono secondo quella che viene definita la “tripartizione sociale indoeuropea”, ovvero la divisione tra sacerdoti, guerrieri e lavoratori, ossia schiavi sottomessi alle prime due classi sociali. In realtà, come sappiamo, i sacerdoti, o meglio le sacerdotesse, erano sempre esistite, ed erano loro a guidare le comunità umane nel paleolitico e nel neolitico preceramico, per cui la nascita della società complessa corrisponde alla nascita della classe dei guerrieri, e quindi alla nascita della guerra come opzione politica.

Mussolini e l'Etiopia | Storia | Rai Cultura

Ma per poter spingere gli esseri umani ad uccidere i propri simili, devono subentrare fattori culturali, ovvero identitari: gli altri esseri umani, di solito i propri vicini, devono essere visti come nemici, ossia come una minaccia per la propria esistenza. Senza una divisione di matrice culturale, la guerra non può mai esistere. Se tutti gli uomini fossero privi di quella che noi oggi definiamo “identità nazionale”, non sarebbe possibile convincere le persone ad uccidere altre persone. Come sappiamo i romani consideravano i cartaginesi come una minaccia e per questo decretarono la distruzione di Cartagine, così come Hitler convinse i tedeschi che gli ebrei fossero una minaccia per il popolo. Anche Mussolini fece credere agli italiani che gli inglesi e i francesi fossero una minaccia per il popolo italiano, così come Putin oggi sostiene che l’ingresso dell’Ucraina nella Nato sia una minaccia per il popolo russo.

Passato e presente. Liberiamoci del fantasma di Hitler - la Repubblica

Purtroppo dall’età del bronzo ad oggi, i destini delle civiltà sono sempre stati legati alla superiorità militare, e solo chi vinceva le guerre poteva prosperare. E per vincere le guerre bisognava inventare armi superiori a quelle del nemico. Dal bronzo al ferro, dalla spada al fucile, dal mitragliatore alla bomba atomica, dai gas letali ad internet, la ricerca scientifica è sempre stata finalizzata a garantire la superiorità militare della propria “civiltà”, del proprio popolo, della propria nazione, su tutte le altre, le quali possono sempre diventare “una minaccia” se la classe dei guerrieri, ovvero i nostri governanti, riescono a convincere le classi subalterne che sia così. E se non ci riescono da soli, possono talvolta utilizzare fattori religiosi: Hilter invase la Polonia col motto “Dio è con noi”, i conquistadores spagnoli dovevano “cristianizzare” i popoli amerindi, le crociate erano fatte per “liberare” la Terra Santa, l’ISIS basa il suo proselitismo sulla guerra contro gli “infedeli”.

Per secoli la guerra è stata del resto la principale opzione politica a disposizione dei popoli, ed in particolare per le popolazioni di cultura germanica, come ad esempio i Longobardi, per i quali solo chi sapeva combattere in guerra poteva essere considerato un uomo “libero”, mentre chi non sapeva combattere doveva vivere in condizione di schiavitù e sottomissione alla classe dei guerrieri. C’era però una enorme differenza: all’epoca i governanti guidavano gli eserciti e i re, i principi, i duchi, i conti, stavano in prima linea durante le battaglie campali, mentre i poveri stavano nelle ultime linee e la guerra finiva quando moriva il capo dell’esercito. Il potere politico era quindi lo specchio fedele del potere militare, mentre oggi come sappiamo i governanti sono chiusi nei bunker e a morire sono i poveri, i nullatenenti, i governati, i lavoratori.

Coronavirus, così la pandemia in Russia ha messo a nudo lo Zar: per Putin  consensi ai minimi dal 1999. E la crisi economica dilaga - Il Fatto  Quotidiano

Quale può essere quindi la soluzione? L’unica soluzione possibile è il ritorno alla società semplice, basata sulla totale uguaglianza tra le persone e quindi sulla cancellazione di ciò che noi oggi definiamo “Potere”.
Fino a quando ci sarà il Potere, ci sarà la Guerra; fino a quando ci saranno i confini politici, ci sarà la guerra; fino a quando non capiremo, come voleva insegnare Leopardi, che noi esseri umani dobbiamo formare una “social catena” per alleviare reciprocamente le nostre sofferenze, ci sarà la guerra. E di fatto la guerra c’è sempre stata, anche negli ultimi 75 anni, soltanto che noi europei ci siamo sempre voltati dall’altra parte. Abbiamo sempre ignorato i profughi palestinesi, o i curdi, o recentemente i siriani, anzi alcuni leader politici negazionisti sostengono che questi profughi non siano in realtà profughi, ma che siano “una minaccia” per le nostre comunità.

Il nocciolo della questione è infatti proprio questo: si può avere una propria “identità culturale” senza per questo concepire le altre identità culturali come una minaccia? Di fatto, se ci riflettiamo, sono sempre i governanti che spingono i governati, che oggi chiamiamo “elettori”, a credere che gli altri siano una minaccia. Per questo fino a quando i popoli abboccheranno alle bugie dei governanti, ci sarà la guerra. E poco importa se il “nazionalismo” sia stato sostituito dal “sovranismo”, la sostanza rimane sempre la stessa: solo quando i popoli inizieranno a concepire le altre identità culturali come una risorsa e non come una minaccia, ai governanti che gestiscono il Potere mancherà la base per poter scatenare le proprie guerre. Solo quando i popoli saranno tutti uniti come fratelli, i governanti non potranno più dividerli per poterli comandare e spingerli in guerra l’uno contro l’altro (i romani dicevano “divide et impera”). E solo quando gli esseri umani si considereranno tutti uguali e tutti fratelli, la Guerra sarà cancellata dalla Storia e i carrarmati saranno qualcosa da poter guardare solo in un Museo.