ESCLUSIVA BN24 – Mariani: “Al Benevento manca la leadership, andrei a giocare per dare una mano. Carfora andava buttato dentro prima”
Benevento CalcioCalcioSidebar intervistaPietro Pedro Mariani, storico Capitano del Benevento, ha partecipato alla puntata di Salta Salta Lo Stregò parlando della prossima sfida contro la Spal, della stagione giallorossa e viaggiando tra i suoi ricordi risalenti all’avventura nel Sannio.
Sono emersi degli elementi positivi nella sconfitta del San Nicola contro il Bari?
“Sicuramente per buona parte del primo tempo abbiamo visto un Benevento diverso, senza ombra di dubbio, migliorato sotto alcuni aspetti. Per salvarti però, come insegnano Cosenza, Perugia e Venezia, ci vuole qualcosa di più. Premesso che è una squadra che ha coperte corte in alcune zone ed è stata costruita male, serve uno scatto ulteriore. Togliendo quelle 2-3 azioni belle di Carfora, poi abbiamo visto un Benevento sicuramente più ordinato e bellino da vedere, ma per vincere serve ancora qualcosa in più. Il Bari era in grossa difficoltà e ha fatto la peggior partita dell’anno, non siamo riusciti ad approfittarne più di una volta. Appurato che in più di due mesi non c’è stato modo di vedere la mano di Stellone al di là di difficoltà e assenze, che comunque hanno un po’ tutti, ora la palla passa veramente solo ai calciatori. Non basta più giocare solo bene, servono corsa, cattiveria, agonismo, attaccamento. La paura di riuscire a non farcela deve far tirare fuori qualcosa in più, come successe a noi contro l’Andria nel 2001“.
Quali sono state la cause che hanno portato il Benevento in questa situazione, c’è dell’altro oltre all’aspetto tecnico-tattico?
“Tutto parte a inizio stagione: ci sono state una serie di valutazioni errate che hanno portato alla situazioni in cui ci troviamo oggi. Hai tenuto un allenatore che non volevi tenere, Caserta aveva capito che avrebbe iniziato la stagione ma sapeva di essere sulla graticola. Poi quando ti rendi conto di aver commesso degli errori vai a prendere una scommessa in panchina invece di andare sul sicuro, su un Ranieri che sarebbe stato in grado di aggiustare la situazione. Cannavaro era un rischio troppo grande. Una delle cose che io imputo al nostro amato Presidente è che lui non ha mai amato il circondarsi di persone esperte di calcio, che vedano il pericolo e gli mettano la pulce nell’orecchio. La squadra poi è stata costruita male, con giocatori strapagati. La prima cosa che deve fare una società al giorno d’oggi è creare una rete scouting: prendi un giovane a poco, lo fai crescere e dopo due anni lo rivendi. Non è ammissibile rischiare la C con un totale stipendi di 20milioni di euro. Vigorito dovrà rifondare la società in toto, non solo sotto l’aspetto tecnico ma in generale: scouting, organigramma e comunicazione andranno riviste, altrimenti tra 2 anni saremo di nuovo in questa situazione“.
Quanto è importante, per una città come Benevento, l’attaccamento alla maglia?
“Benevento non si è mai riconosciuta in questa squadra, non è mai piaciuta molto. La città ha amato giocatori che non hanno fatto la Serie A e magari neanche la B, ma che sul campo hanno lottato come dei vari gladiatori. A questa squadra manca cattiveria e senso d’appartenenza, per questo si è creato lo scollamento tra squadra e tifosi. Sono vecchissimo di questo ambiente, sono dell’idea che con la bava alla bocca ci nasci: un giocatore che ha grinta e determinazione lo fa sempre, in ogni luogo e in ogni situazione. Al Benevento manca un vero e proprio leader e un punto di riferimento non solo a livello di squadra ma anche a livello societario. Ci sono dei momenti durante la stagione in cui non contano più allenatori o Presidenti, c’è solo lo spogliatoio in cui fai e disfi in un attimo. Quando giochi e guadagni tanti qualcosa viene meno, manca quella fame che magari ti caratterizzava. Penso ci siano molte pance piene e una squadra costruita male, e la scelta di Cannavaro è stata sbagliata: non tanto per Cannavaro in sé ma per la scelta, era un momento chiave della stagione in cui eri a pochissimi punti dai play-off e secondo me alcune decisioni oltre a essere prese in ritardo non erano neanche condivise“.
Il Benevento può conquistare la salvezza?
“Sono stato a Benevento 13 anni, sono anche stato residente quindi cittadino di Benevento, ma ho una visione da calciatore. Sono realista, andrei a giocare pur di aiutare il Benevento a conquistare la salvezza. Chi è sopra, però, è come se avesse due partite in più. La palla ora pesa 7 chili, deve uscire il coraggio dei giocatori“.
Che impressione le ha fatto Carfora?
“Lo avrei buttato dentro prima. Questo è un ragazzo molto interessante, se avessimo avuto anche tutta la fascia d’attacco comunque un classe 2006 sarebbe dovuto essere nell’orbita, magari con qualche presenza. Dopo 4 articoli il calciatore vale già 300mila euro. Carfora è un giocatore importante, sa fare la prima o la seconda punta come anche l’esterno o il trequartista, sa tirare, sa fraseggiare, non si tira mai indietro neanche nei contrasti. Lui è predisposto, è un soldato: dove gli dici di stare lui sta. Andava sfruttato prima e di più. Per me deve partite titolare contro la Spal, non ha paura e ha personalità. Rientra, è bravo a inserirsi ma anche a recuperare. Lui e Tello lì davanti sarebbero molto fantasiosi“.
Come dovrà schierarsi il Benevento contro la Spal?
“I moduli negli ultimi anni hanno perso il significato originario. Con l’avvento di Oddo la Spal è più viva, fa sempre gol e crea occasioni. Nainggolan spacca gli equilibri dal centrocampo in su. Nella fase di non possesso non va lasciato loro molto campo. Mi metterei a specchio, a uomo, andando ad aggredire ognuno il suo“.
Quanto sarà importante giocare le prossime due partite in casa?
“Al popolo tutto, e in particolare alla tifoseria, andrebbe fatto un monumento per la civiltà mostrata. Mi viene in mente il video della gente che cantava e saltava sugli spalti alla retrocessione dalla A. Il “Vigorito” è uno stadio realmente complesso, è difficile giocare contro il Benevento e con il pubblico lo è ancora di più: noi partivamo già dall’1-0, ma serve sempre e comunque il coraggio. Non c’è al mondo nulla che generi più coraggio della paura, la C sarebbe un fallimento sportivo personale e la città si ricorderebbe dei singoli solo per questo. Ora non conta più niente e nessuno, non c’è nessun trofeo che conti di più di conquistare questa salvezza, che varrebbe anche più di una promozione in Serie A. Non l’avremmo voluta, ma questa è un’opportunità anche per i giocatori che salvando questa squadra passerebbero alla storia“.
Che cosa è successo nel tunnel di Lecce il 13 giugno 1999, nella finale play-off di C2 contro il Messina?
“Eravamo una squadra praticamente senza credibilità, il Messina invece aveva speso tantissimo. Avevamo 5-6 delinquenti da arresto immediato. A Lecce prima del sottopassaggio c’è un pezzo di tribuna dove puoi fare riscaldamento, partivamo insieme due alla volta e c’era un momento in cui arrivavi ad avere il muso l’uno contro l’altro. Ogni qual volta che loro tornavano verso di noi gli dicevamo le cose peggiori, offese, minacce, sputi. Iniziò la partita e loro passarono in vantaggio, per noi sarebbe stata impossibile perché le regole all’epoca li favorivano. Scaringella, autore del gol, passò vicino a me e mi sbeffeggiò. Gli dissi qualcosa del tipo “C’è poco da ridere, ora la pareggiamo e poi vinciamo, poi ti aspettiamo nel tunnel per darti il resto”. Vincemmo e rientrammo praticamente insieme, ci sedemmo tutti sulle scale degli spogliatoi per aspettarli e dir loro “adesso non ridi più?”. Fu allucinante, dopo la partita di ubriacammo e arrivammo in città alle 2 di notte accompagnati dalla gente che il giorno dopo sarebbe dovuta andare a lavoro. Eravamo incoscienti, ma avevamo una consapevolezza e una forza mentale incredibile“.