Gatto lanciato da dirupo, eh no: voi che augurate il cancro e minacciate di morte un ragazzino di 17 anni non siete migliori di lui

Gatto lanciato da dirupo, eh no: voi che augurate il cancro e minacciate di morte un ragazzino di 17 anni non siete migliori di lui

Pensare di combattere la violenza con altra violenza è segno che la linea di demarcazione tra le parti è più sottile di quel che si immagini.

Capiamoci bene: qui non si vuol sminuire o derubricare a ragazzata un atto criminale, perché tal è stato, come quello compiuto del giovanotto che, per fare il gradasso, ha lanciato un gatto da un dirupo, per poi inoltrare anche il video che ne testimoniava le gesta.

Ah, perché si è anche ripreso; non sia mai che il prossimo non avesse avuto notizia e testimonianza di un atto così tanto stupido e delinquenziale.

Ma non è questo il punto, o meglio non soltanto questo. L’autore del gesto è stato denunciato alle autorità e ne pagherà le conseguenze, nei modi e nei tempi previsti dalla legge.

Il punto è che siamo di fronte a una vicenda raccapricciante, espressione di una violenza connotata da una forte e deprimente crudeltà. Una vicenda che, per i contorni che la delineano, deve assolutamente farci riflettere sullo stato di salute della nostra società e della nostra comunità, sulla direzione intrapresa dal genere umano più in generale.

Preoccupa che un ragazzino di 17 anni pensi di doversi e/o potersi divertire o apparire “un duro”, causando sofferenza e cagionando la morte di un altro essere vivente. Non avere, a 17 anni, consapevolezza di ciò che si sta facendo è grave; compiere un simile gesto consapevolmente e trovarci gusto è preoccupante. Farlo per “diventare virale” sui social sarebbe un’aggravante che, però, ben si concilierebbe con questa continua sovrapposizione tra reale e virtuale che sta governando i nostri giorni e che rischia di fare danni peggio della grandine. Posto che il problema non sono mai gli strumenti, nel caso di specie le nuove tecnologie, bensì la mancanza di una corretta educazione alle stesse.

E quando parliamo di educazione all’utilizzo dei social non possiamo non far riferimento anche all’altra faccia della medaglia di questa vicenda: quella raffigurante colori i quali, mascherandola dietro all’indignazione, sono stati propagatori di una altrettanto preoccupante violenza nei confronti dell’autore del gesto criminale.

In una società sana, pienamente consapevole di vivere in uno stato di diritto e non nell’era in cui vigeva la legge del taglione, nessuno si sentirebbe legittimato a minacciare di morte, a istigare al suicidio, a destinare frasi intimidatorie oppure ad augurare un cancro e mettere al pubblico ludibrio (né più né meno di quanto è accaduto sotto al post di BeneventoNews24.it su instagram) nemmeno a chi si è macchiato di un crimine, tantomeno se questo è un ragazzo di 17 anni. Con le conseguenze che dinamiche simili possono determinare.

Se non si comprende che anche ciò significa essere violenti e che niente e nessuno autorizza chicchessia a tenere certi comportamenti e a fare giustizia da sé, allora vuol dire che la linea di demarcazione tra chi compie simili atti criminali e chi ne “denuncia” (in quel modo) l’oscenità e la crudeltà è più sottile di quanto si immagini.