Uomini padroni delle donne? Violenze anche tra minori

Uomini padroni delle donne? Violenze anche tra minori

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Sempre più numerosi i casi di violenza sulle donne nel nostro paese, orrore che prende le forme di stupri di branco come accaduto ultimamente a Palermo o a Caivano, episodi selvaggi ed animaleschi che offendono il sentire umano, atti bestiali che considerano la donna utile solo a soddisfare il piacere fisico ed ignorano la perfezione e l’appagamento di un rapporto scelto e voluto in due.

In passato la violenza sessuale non veniva quasi mai denunciata dalla vittima, troppi i condizionamenti sociali e culturali che circondavano la sfera delle donne, chi subiva violenza se l’era cercata, lo stupratoreera un“macho” che rimaneva impunito o, se scoperto, sposava la vittima e legittimava il suo comportamento.

Oggi le donne, se sopravvivono alla violenza, non tacciono e quelle che non soggiacciono alla paura o alla vergogna, denunciano e raccontano ciò che è accaduto rivendicando, nello stesso tempo, il diritto alla propria vita, alle proprie scelte sia nei comportamenti che nell’abbigliamento, come ha fatto la diciannovenne di Palermo che, attraverso i social, in modo diretto e deciso, senza giri di parole,  difende le sue scelte, tutte, anche quelle che le hanno attirato le immancabili critiche sul web. “Resto me stessa” ha affermato in un messaggio su video.

Parole decise di chi non ci sta a farsi colpevolizzare, ad accettare il “se l’è meritato”, di chi, vittima e non artefice della violenza, rivendica il diritto al rispetto ed alla solidarietà per non cadere in una depressione, ampliata dalla cultura maschilista e tradizionale, che potrebbe portare a gesti estremi come il suicidio.

Purtroppo la violenza sessuale è un fenomeno diffuso e sistematico in tutto il mondo e le vittime, ignare dei propri diritti, devono combattere contro molteplici ostacoli: una giustizia lenta e farraginosa, spesso inefficace che pretende prove certe di quanto subito, stereotipi di genere impietosi, idee sbagliate sulla violenza sessuale, dubbi sulla credibilità di quanto denunciato, ipotesi o accuse di colpevolezza.

Nel nostro paese permane inoltre il pregiudizio che attribuisce alla donna la responsabilità della violenza sessuale subita, pregiudizio che trova conferma nel codice penale italiano, dove all’articolo 609-bis, si prevede che il “reato di stupro” sia necessariamente collegato agli elementi della violenza, o della minaccia o dell’inganno, o dell’abuso di autorità, nonostante la Convenzione di Istambul, ratificata dall’Italianel 2013, specifica che il consenso “deve essere dato volontariamente, quale libera manifestazione della volontà della persona, e deve essere valutato tenendo conto della situazione e del contesto“.

Tanti ultimamente, troppi gli episodi di violenza di genere che hanno funestato il nostro paese, brutalità compiute da persone sempre più giovani, ragazzini che si vanno sempre più educando sul web, luogo ove circolano liberamente il porno, video di violenza e sopraffazione che, grazie al quotidiano uso degli smartphone, hanno sostituito il ruolo di “magister” di scuola e famiglia.

Internet come scuola di vita che porta a credere che tutto sia possibile ed ottenibile a qualunque costo, dove immagini di benessere e potenza si sprecano, luogo magico in cui tutto è possibile e che invoglia alla imitazione, spazio di conquista di una dimensione personale esaltata che si vuole trasformare in realtà, magari con il sostegno del branco a cui ci si accompagna.

Il branco che troppo spesso sostituisce il ruolo della famiglia o della scuola, istituzioni viste come superate ed incapaci di conoscere e comprendere i bisogni giovanili e troppo spesso comunque inadeguate agli sviluppi della società, accozzaglia di amici con i quali esplode il desiderio di mostrare agli altri membri la propria patente di mascolinità, branco che annulla valori e certezze etiche, che pretende la condivisione di atti che non appaiono, proprio perché vissuti in gruppo, riprovevoli o sbagliati, tutto in un  “gioco perverso che rende tutto possibile e giusto.

D’altronde è assodato che quando gli uomini sono in gruppo, si innesca una forma di concorrenza animalesca, una lotta all’ultimo sangue per conquistare la femmina, non ai fini della procreazione, come la storia del mondo umano e animale insegna, ma al solo scopo di rivendicare una superiorità fisica che pur assodata, si trasforma in inferiorità morale ed intellettiva.

Se la mascolinità inoltre, si identifica con una sessualità predatoria, violenta, aggressiva, ma soprattutto impersonale, tutto nell’illusione dell’anonimato che è figlia dell’appartenenza al gruppo, ecco che essa si trasforma in deindividualizzazione, concetto che si riferisce ad un “processo psicologico in cui alcuni fattori, riducendo l’identificabilità sociale e l’autoconsapevolezza dell’individuo all’interno del gruppo, rende possibili comportamenti che normalmente sono inibiti”.

Come rendere però reale ciò che si sta compiendo? Ecco il bisogno di filmare l’impresa, di reificare l’esperienza o di santificarla perché ne resti memoria, un video da condividere per amplificare il presunto successo, senza scrupoli per la vittima ridotta ad oggetto senza valore ed immolata sull’altare del narcisismo personale e magari, in alcuni casi, facendo mercimonio del filmato in modo da amplificare, anche economicamente, il proprio successo.

Manca in modo significativo, specie in alcune realtà sociali e familiari, l’importanza di educare ai sentimenti e alla gentilezza mentre la cultura sessista e patriarcale, che troppo spesso porta a colpevolizzare la vittima e a minimizzare le conseguenze, rendendo quest’ ultima protagonista  di un  retaggio secolare, finisce con il giustificare gli autori della violenza sessuale. 

Se l’amore tra un uomo e una donna è funzione vitale e naturale dell’esistenza, il sesso, quando non è condiviso, ma imposto, senza corrispondenza, magari con violenza, è un atto volgare, disgustoso e, senza voler offendere gli animali, animalesco, un gesto di supremazia che degrada chi lo compie e rivela la sua piccolezza e tutti i suoi limiti come essere vivente, un fare fine a sé stesso che, siamo  sicuri, non appaga veramente neppure chi lo compie.