23 Novembre 1980: una data impossibile da dimenticare
AttualitàDalla RegioneIl 23 Novembre 1980, alle ore 19.34, un sisma di magnitudo di 6.9 della scala Richter colpì la Campania, la Basilicata e alcune aree della provincia di Foggia provocando, complessivamente, la morte tragica di circa 3000 persone.
Era una sera tranquilla di Novembre, la giornata era stata bella, il sole aveva illuminato i tanti paesi dell’Irpinia e la sera prometteva di essere ancora più tranquilla. Nelle varie case dei paesi campani e non solo, la vita scorreva serena, come raccontano i tanti testimoni sopravvissuti all’evento, una radio locale trasmetteva musica folk.
Poi il mondo è sembrato crollare, tremori violenti, un rombo simile ad un bombardamento, case che crollavano seppellendo i suoi abitanti, pietre degli edifici e delle chiese che rotolavano per strada sollevando una polvere che bruciava gli occhi e la gola, un odore pungente della calce che toglieva il respiro, costruzioni che erano sempre apparse sicuro luogo di vita, improvvisamente si accartocciavano su se stesse seppellendo coloro che avrebbero dovuto proteggere e la musica, che prima rallegrava, smette all’improvviso di riempire l’aria sostituita da grida di aiuto e di disperazione.
Qualcuno racconta di essersi rifugiato sotto l’arco di una porta insieme ai propri cari, di aver udito un rumore simile ad un “ta..ta..ta” per 20, 30, 40 secondi, ma in effetti il tempo della catastrofe è stato molto più lungo, 90 secondi interminabili di vita sospesa, un lunghissimo momento in cui, chi è sopravvissuto, faceva fatica persino a respirare, cercando di capire cosa stesse accadendo e come sarebbe finita.
Qualcun altro ha raccontato di essere uscito dalla camera in cui stava con un proprio caro, padre, madre, fratello, sorella, amico e di essere stato risucchiato in un turbinio di calcinacci, travi, polvere e buio, in un inferno da cui è riuscito ad uscire, fortunosamente, dopo molte ore senza poter riabbracciare le persone della propria tranquilla esistenza perché le loro vite erano state inghiottite dalla catastrofe.
Quando il cataclisma finalmente si placò, nell’aria si sentivano solo il pianto di bambini intrappolati sotto le macerie, i lamenti di quanti non avevano neppure la forza di chiedere aiuto, le grida di chi cercava affannosamente di scavare fra le macerie alla ricerca dei propri cari, una realtà irriconoscibile fino a soli pochi istanti prima.
I paesi più feriti, oltre a quelli dell’epicentro, furono Laviano, Lioni e Sant’Angelo dei Lombardi. Ma crolli si verificarono anche a Napoli. In totale, furono 679 i Comuni colpiti in otto province, un mondo dell’Appennino Campano sconvolto e distrutto dal terremoto del 23 Novembre che, secondo le stime più attendibili, registrò 2.914 morti.
Ma cosa è accaduto geologicamente quella sera tragica del 23 Novembre? Sappiamo tutti che il nostro paese è a rischio sismico da sempre, l’Italia è soggetta a terremoti frequenti e distruttivi a causa della sua storia geologica, ma anche per la sua elevata urbanizzazione e soprattutto per la vulnerabilità degli edifici.
E’ bene ricordare che a causa della sua posizione lungo il margine fra due placche tettoniche che collidono, quella Eurasiatica e quella Africana, ogni pochi anni si verifica sul territorio italiano un forte terremoto capace di creare danni. Dal punto di vista geologico, l’Italia fa parte della placca euroasiatica, sospinta in direzione nord da quella africana. Secondo le stime degli esperti, questa spinta africana sulla placca mediterranea, causerà, nel tempo, il ricongiungersi del nostro paese con i Balcani con conseguente scomparsa del mare Adriatico.
Ovviamente la frizione tra le placche, quella euroasiatica e quella africana, determina i fenomeni sismici cui assistiamo di frequente, eventi che porteranno inesorabilmente a un lento spostamento dell’intera penisola. Il nostro paese inoltre è adagiato sulla micro placca adriatica, quella che costituisce la parte più settentrionale della macro placca africana.
Spingendo il nostro paese verso nord, la placca africana obbliga la micro placca adriatica a scendere sotto le Alpi, in un movimento rotatorio in senso antiorario il cui perno è nei pressi dello Stretto di Messina. Le maggiori zone a rischio sismico sono dunque la zone centrali dell’Appennino centro meridionale e l’arco Calabro-siciliano.
Questa situazione geologica è conosciuta da tempo, tuttavia troppo spesso si è costruito senza tener conto dei rischi, infatti solo il 14% degli edifici nelle zone sismiche è costruito con tecnologie adeguate, forse per risparmiare o forse per ignoranza e tuttavia, la mancanza di tecniche adeguate a contrastare i rischi sismici, determina, inevitabilmente, disastri come quello del 1980.
Molti hanno lamentato inoltre, una lentezza negli interventi di soccorso, che hanno operato con poca immediatezza, determinando la morte di tanti che forse potevano essere salvati, ma soprattutto di lungaggini nella ricostruzione e, cosa non da poco, la presenza nei processi ricostruttivi, della longa manus della camorra, perché dove c’è emergenza e bisogno, la malavita affonda i suoi artigli per interesse economico, sostituendosi spesso ad uno Stato assente o troppo lento e macchinoso nei suoi interventi.
Tanti ancora gli eventi sismici significativi nel nostro paese dopo quello del 1980, come quello dell’Aquila nel 2009 o quello di Amatrice, Accumoli e Arquata nel 2016, ma, se è vero che il nostro è un paese sismico, perché non si obbliga ovunque a costruire secondo criteri antisismici o mettere in sicurezza centri storici antichi? Perché aspettare ingenuamente o superficialmente che un evento non si verifichi o, se anche si attuasse, non lo faccia in maniera disastrosa?
Un buon esempio sarebbe per noi il sistema costruttivo del Giappone, paese ben conscio dei pericoli che corre a causa dei frequenti terremoti e dunque attrezzato a fare fronte ad essi.
Oggi però a noi preme soprattutto ricordare i tanti che hanno perso la vita nel terremoto dell’Irpinia, uomini, donne e bambini che, senza colpa, sono stati travolti da un evento che, noi speriamo, la tecnologia imparerà presto a prevedere perché, se è vero che sono gli uomini a gestire il territorio in cui vivere, è vero anche che non bisogna mai dimenticare che la natura ha i suoi ritmi e le sue ragioni e che dunque il rispetto di essa diventa un vantaggio anche per tutti gli esseri umani.