Libera e il ricordo di Borsellino dinanzi al cementificio Ciotta confiscato alla criminalità

Libera e il ricordo di Borsellino dinanzi al cementificio Ciotta confiscato alla criminalità

AttualitàBenevento Città

Se nella poesia di Montale il ricordo è solo un istante, un’immagine di breve durata che emerge per scomparire di nuovo inghiottita dal tempo, attimo connaturato a quel “male di vivere” congenito alla condizione della vita umana, nel presente del primo pomeriggio di venerdì 19 luglio, davanti al cementificio Ciotta, bene confiscato alla criminalità, la memoria è diventata presente e con essa sono apparsi partecipi alla vita attuale, uomini e donne che hanno sacrificato la vita per la giustizia, la libertà e la verità, personaggi come Paolo Borsellino e tutta la sua scorta.

Chi era Borsellino? Un eroe? No, un uomo normale che credeva nelle cose giuste della vita e che fossero giuste per tutti, sempre, a qualunque costo, perchè l’ingiustizia, la malavita, la mafia, la violenza erano cose inconcepibili nella sua mente, dunque un uomo normale, non un eroe.

Con il preciso intento di non celebrare in modo rituale esponenti delle istituzioni e della nostra storia, il Coordinamento Provinciale di Libera Benevento, in collaborazione con l’Anpi provinciale di Benevento ed il gruppo scout Agesci Benevento 2, ha voluto ricordare quel 19 luglio del 1992 in cui Paolo Borsellino e la sua scorta furono vittime di un’auto bomba, a meno di due mesi dalla strage di Capaci del 23 maggio dello stesso anno, in cui aveva perso la vita Giovanni Falcone e quasi tutta la sua scorta. 

 La cerimonia si è tenuta davanti ai cancelli del cementificio Ciotta, luogo simbolico dell’antimafia sociale,  bene già confiscato alla criminalità e dal profondo significato anche politico ma, come ricordato da Michele Martino, referente “Libera” per Benevento, ancora oggi non destinato a funzioni a favore della comunità, cosa che invece dovrebbe essere obbligata, afferma.   

Erano presenti alla commemorazione il dott.Gianfranco Scarfò, Procuratore aggiunto presso il Tribunale di Benevento, la dottoressa De Gregorio Rosa, vicario del Questore, il prof. Amerigo Ciervo, Presidente Anpi Benevento, Antonella Rubbo, rappresentante Cgil Benevento, alcuni rappresentanti degli Scaut di Benevento ed un rappresentante del sindacato Unarma della città.

Paolo Borsellino è stato, insieme a Giovanni Falcone, artefice della lotta alla mafia in quanto membri del pool antimafia, voluto in principio da Rocco Chinnici a cui successe, dopo il suo assassinio mafioso, Antonino Caponnetto. L’opera di questi magistrati portò al cosiddetto “Maxi processo” che vide alla sbarra 460 mafiosi e durò dal 10 febbraio 1986, al 30 gennaio 1992, atto dal significato internazionale,  che vide la condanna di personaggi anche importanti del mondo della mafia, tra Corleonesi, capeggiati da Salvatore Riina e Bernardo Provenzano e mafia palermitana, tutti artefici di oltre 600 omicidi.

Il 1992 però doveva segnare una battuta d’arresto all’aspra lotta alla malavita siciliana, prima Falcone e poi Borsellino furono individuati come bersagli obbligati della mafia e messi a tacere per sempre.

Martino ha voluto ricordare, con passione umana e sociale, in modo particolare, ricorrendone l’anniversario della morte, Paolo Borsellino, ma anche gli uomini e la donna della sua scorta e precisamente Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, ognuno con la propria storia personale alle spalle, agenti, alcuni giovanissimi, che oltre all’amore per il loro lavoro, avevano una vita già programmata e desideri e speranze per il futuro.

Un ricordo particolare è stato fatto al sacrificio di Emanuela Loi, prima donna di una scorta a morire per mano del potere mafioso.  Una donna che, come i suoi compagni, ha dato la vita per ciò in cui credeva, un “morire per le idee” che ha avuto illustri predecessori nel tempo, ci piace, a titolo di esempio, ricordare il personaggio Socrate, ma questa donna ed i suoi compagni, nel nostro presente, lo hanno fatto perché credevano, in modo assoluto, nella giustizia e nei principi della nostra Costituzione.  

La memoria di questi sfortunati uomini dello stato è, noi pensiamo, non solo obbligata, ma soprattutto necessaria, per comprendere come si possa mettere a rischio la propria vita per ciò in cui si crede e per il bene della società, ma soprattutto di come ci si debba impegnare per perseguire i loro stessi principi.

Borsellino credeva fermamente nel suo lavoro, ma amava la famiglia, al punto di mettere a rischio la propria vita per andare a trovare sua madre, cosa che fece quel 19 luglio recandosi in via D’Amelio dove, con decisione cinica e crudele, la mafia, su disposizione della Commissione interprovinciale di Cosa nostra,  aveva piazzato un’autobomba in una vecchia Fiat 126, parcheggiata nei pressi dell’abitazione della madre del magistrato, un boato e la vita di tanti servitori dello stato fu cancellata, ma, come ricorda sempre Martino, il loro esempio di perseguire la giustizia e la verità rimangono ancora oggi, modello di integrità umana e sociale che nessuna bomba potrà mai cancellare.

Hanno voluto ricordare l’importanza della data, ma soprattutto del sacrificio di Borsellino e di tanti uomini e donne delle istituzioni, prima Amerigo Ciervo ed a seguire il dott. Scarfò e la De Gregorio, tutti convinti che, pur nel significato tragico dell’evento, la morte del magistrato e della sua scorta sia, ancora oggi, un alto esempio di fede nei principi guida di una società sana e rispettosa della Costituzione, soprattutto in questo tempo in cui tante decisioni politiche appaiono controverse.

Essi hanno perseguito ed indicato la strada per un modello di vita che risulta fondamentale per i tanti giovani che si affacciano alla vita, come testimoniato dai rappresentanti scaut presenti all’evento, ragazzi  che perseguono, tra altre cose, lealtà verso la propria comunità, riconoscimento e rispetto per la dignità del proprio simile e per l’integrità del mondo naturale.

E’ poi stata affissa, dai ragazzi scout, sui cancelli del cementificio Ciotta, una bandiera che riportava, nella sua parte bianca, la scritta “capaci di riutilizzare il bene”, affiancata da un mazzo di fiori. A loro poi, su iniziativa di Libera e del suo rappresentante, è stato donato un tricolore che essi potranno far sventolare nei luoghi dei loro campi, simbolo di amore per il paese, ma soprattutto di attaccamento ai principi di convivenza già indicati nella nostra carta costituzionale.