Benevento, l’ex Bucchi a cuore aperto: “Trovai la mia compagna morta davanti a nostra figlia”
Benevento CalcioCalcioL’ex allenatore del Benevento, Cristian Bucchi, ha rilasciato una toccante intervista a Il Corriere della Sera, parlando del suo dramma familiare e arrivando poi all’attualità e al concetto di solitudine nel mondo del calcio.
L’ex tecnico giallorosso, ai piedi della Dormiente nella stagione 2018-19 conclusasi con la semifinale play-off persa col Cittadella, ha parlato a cuore aperto dell’evento che ha vissuto ormai più di venti anni fa, quando perse la moglie.
A chi gli chiede come si fa ad andare avanti, con una figlia di un anno e mezzo dopo una disgrazia simile risponde: “Si fa. Per mille motivi, nessuno dei quali forse può essere compreso da chi una situazione del genere non l’ha vissuta. La forza è proprio la bambina che non può crescere vedendoti soffrire, non può sentirsi sempre e solo sfortunata perché ha perso la madre in quel modo. E, allora lei, piccola, diventa il tuo mondo. Per i quattro anni successivi non l’ho lasciata mai da sola. Il calciatore e la figlia insieme in giro per l’Italia con una tata per quando facevo gli allenamenti, per le partite. Ma Emily era sempre con me anche al campo“.
Una scena che diventa difficile dimenticare... “Una tragedia che fai fatica ad accettare senza cadere nella più inutile delle domande: perché è successo a me? Credo che purtroppo la vita a volte sa essere durissima, in quel momento mi sono chiesto se invece di giocare a calcio fossi stato lì, se avessi potuto far qualcosa. Il senso di colpa iniziale è inevitabile. Valentina ebbe un infarto fulminante, non si sarebbe salvata. A Emily siamo stati tutti vicini, le abbiamo raccontato pian piano la verità, lei non ricorda, era troppo piccola. Forse è stato un bene. Io non ho mollato di un centimetro e, come è successo anche in altre situazioni non belle della mia vita, dopo mi sono sentito addirittura più forte“.
Preparava un piano B, in alternativa al calcio?, chiede il giornalista. “Se non fossi riuscito nel calcio – spiega l’ex attaccante, ora allenatore – avrei fatto il giornalista. L’idea me l’aveva data la prof di italiano. Scrivevo bene e lei diceva che i miei lavori erano interessanti, riuscivo a non essere scontato, a fornire domande e dare risposte. Quando ho smesso di giocare un po’ l’ho fatto in tv, sia come opinionista che come giornalista“.
Nella carriera e nella vita di Bucchi anche la batosta dello stop per doping, nel momento migliore. “Altra batosta -racconta -, lì mi sentivo impotente. Sapevo di essere innocente ma non potevo dimostrarlo. Presi 16 mesi, poi ridotti a otto. Ancora oggi non so darmi una spiegazione. Up e down, la mia carriera è stata un po’ così, ma mi rialzavo sempre mosso dalla rabbia e dalla determinazione che non dovevo mollare“.
Un mondo, quello del calcio, dove la solitudine la fa da padrona. “Nel calcio – spiega – sei sempre da solo. Vivi solitamente lontano dai tuoi affetti, dagli amici, dalla famiglia, dalla città dove sei nato. Costruisci qualche rapporto che poi non puoi mai tenere nel tempo, quando torni a casa ti rendi conto che ciò che hai lasciato non è più com’era prima. Sei solo perché quando ti aspetti di condividere un dispiacere, una delusione con qualcuno spesso non trovi chi ti aspetti che ci sia. Forse per questo motivo il calcio ti rende anche forte. Io ho superato tanti limiti personali. Esistono i legami forti, pochi. De Zerbi, Pioli: due colleghi che sento vicini“.
Anche da allenatore la sua è una carriera di alti e bassi. Ora è fermo ma resiste... “Certo, studio e mi aggiorno. Non è piacevole stare a casa ma vale sempre la filosofia che se lavori più degli altri puoi farcela“.
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