L’Iran che obbliga le donne a diventare invisibili e uccide una ragazza per un capello
AttualitàPoliticaIl 16 settembre 2022, mentre si trovava in visita a Teheran, la giovane iraniana Mahsa Amini è stata fermata da una pattuglia della “polizia della moralità” perché sotto il suo velo era visibile una ciocca di capelli e dunque lei non indossava il velo in modo appropriato.
Il fratello della vittima, che si trovava con lei al momento dell’arresto, ha dichiarato che Mahsa è stata presa dalle forze dell’ordine, per strada, proprio davanti ai suoi occhi, per essere portata in caserma e subire un trattamento di “rieducazione” a causa del modo “inappropriato” in cui portava il velo.
Il velo è obbligatorio in Iran per tutte le donne dal 1979, anno della Rivoluzione islamica o rivoluzione khomeinista, dal nome dell’Imam Khomeyni confinato in esilio dallo Scià Mohammad Reza Pahlavi. Il ritorno in patria di Khomeyni portò a limitazioni sociali e pseudomorali che fecero delle donne le prime vittime. Esse infatti subirono tutta una serie di limitazioni alle loro libertà come il coprire braccia e gambe con abiti non succinti e di coprire il capo con un velo per nascondere i capelli, il tutto nel rispetto della legge coranica della Shari’a.
Ancora oggi l’Iran non riconosce i diritti delle donne ritenendoli una minaccia alla sicurezza nazionale.
Nello scorso marzo Shima Babaie, tra le promotrici dei “mercoledì bianchi” durante i quali le donne iraniane si toglievano il velo in luoghi pubblici affollati e lo sventolavano in segno di protesta, è stata arrestata con l’accusa di essere una minaccia alla sicurezza nazionale per aver aderito a tale forma di protesta che contesta l’obbligatorietà del velo in Iran.
Mahsa Amini, originaria del Kurdistan iraniano, è morta tre giorni dopo l’arresto in ospedale, il fratello Kiarash, che ha aspettato fuori della caserma, ha visto uscire da essa un’ambulanza che ha trasportato in ospedale la sorella dove, dopo tre giorni di coma, è stata dichiarata morta.
La polizia ha dichiarato, in merito alla morte della ragazza, che era deceduta a causa di un infarto, ma la famiglia ha smentito il fatto che la ragazza avesse mai avuto problemi cardiaci.
Amnesty International, intervenuta in merito alla vicenda, sospetta invece che la ragazza sia stata vittima di torture e maltrattamenti e, per questo, chiede un’inchiesta contro agenti e funzionari di polizia iraniani.
Tante le donne scese in piazza per protestare contro l’omicidio della giovane, ma le autorità iraniane hanno offeso le manifestanti chiamandole “pervertite”, “malvagie”, “infantili”, “deficienti” e al servizio di “potenze straniere nemiche”.
Esse inoltre, sempre secondo le autorità iraniane, agiscono “sotto l’influenza di droghe sintetiche o, peggio, stanno ricevendo “istruzioni da gruppi del crimine organizzato”.
Le donne che hanno preso parte alle proteste contro l’obbligo del velo, rischiano fino a 10 anni di carcere per “incitamento alla corruzione e alla prostituzione”.
Le donne iraniane stanno cercando, pur sfidando leggi assurde e scellerate, di liberarsi da catene che vorrebbero trasformarle in esseri invisibili al mondo ed a se stesse, hanno infatti trovato nei social network un nuovo strumento di lotta e diffusione capillare delle ingiustizie a cui sono obbligate a piegarsi.
In un tentativo estremo e paradossale di frenare le proteste, il Presidente iraniano Ebrahim Raisi, ha ordinato al ministero di aprire un’inchiesta su quanto accaduto. Tuttavia è proprio contro Raisi ed il suo fermo sostegno alla legge che obbliga a portare il velo che molti membri della società iraniana puntano il dito per aver procurato la morte di Mahsa.
Molte donne, per protesta, hanno sfidato la assurda legge islamica sul velo togliendosi l’hijab in pubblico e finendo ovviamente in prigione.
A Toronto, molte donne iraniane, per protestare contro la morte di Mahsa hanno deciso di tagliarsi i capelli facendosi riprendere durante il gesto.
Poiché il presidente Raisi si recherà nei prossimi giorni a New York per partecipare all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, gruppi di dissidenti iraniani hanno chiesto al Presidente Joe Biden di non concedere il visto di ingresso a Raisi in quanto responsabile, quando era vice procuratore di Teheran, di esecuzioni di prigionieri politici nel 1988 e, sempre lui, consentì che le condanne fossero eseguite.
“Morte al dittatore”, queste le parole urlate dalla folla durante i funerali di Mahsa, riferendosi all’Ayatollah Ali Kahamenei,attuale Guida Suprema dell’Iran. Molti inoltre gli attivisti per i diritti umani che hanno esortato le donne a togliersi pubblicamente il velo, gesto ritenuto “immorale” dalle autorità iraniane.
L’Iran è dunque, ancora oggi, una società misogina che teme le donne e le vorrebbe trasformare in amebe al servizio di un mondo di uomini ignoranti e trogloditi, dimenticando che la memoria, come cita il filosofo Platone, è ciò che alimenta la conoscenza e le donne iraniane, che non dimenticano, certamente sapranno diffondere le informazioni su un mondo che vorrebbe fossero invisibili e riconquistare così diritti e dignità negati.