<strong>Michele Placido nella commedia “La bottega del caffè” incanta il pubblico</strong>

Michele Placido nella commedia “La bottega del caffè” incanta il pubblico

Cultura

Nella serata di sabato 4 marzo, negli spazi del Teatro Comunale “Vittorio Emanuele” di Benevento, Michele Placido e la sua compagnia hanno coinvolto il numerosissimo pubblico presente nelle vicende de “La bottega del caffè”, commedia che descrive un microcosmo umano che, nei luoghi di un caffè veneziano del ‘700, mescola le vicissitudini personali in una trama di fatti che sarebbero dovuti essere riservati e individuali, come sentimenti occulti, vizi e virtù e che invece vengono manipolati per volontà di dominio da parte di un uomo pettegolo e maldicente.

La commedia, scritta da Goldoni nel 1736, fu redatta non in veneziano, ma in lingua “toscana”, la nuova “lingua italiana” che andava affermandosi in quegli anni e che consentiva che tutti potessero comprendere quanto detto. L’opera teatrale, rappresentata a Venezia dopo il 1750, per il successo riscosso, fu replicata per dodici volte.

“La bottega del caffè”, con la magistrale interpretazione di Placido e della sua compagnia, si è subito rivelata una commedia corale, ricca di diversi personaggi che disegnano un affresco sociale ed umano che non sembra essere del lontano ‘700, ma al contrario, appare estremamente moderno ed attuale rivelando vizi e virtù ancora riscontrabili nel presente.

Le vicende della commedia si svolgono lungo l’intera giornata, dall’alba alla sera, durante il carnevale veneziano. Il luogo della scena, che non cambia mai, è quella della bottega del caffè gestita da Ridolfo, rivendita che è affiancata da quella di un barbiere e, sull’altro lato, da quella del biscazziere Pandolfo. Da una parte, quasi affacciata sulla bottega, si trova una casetta abitata dalla  ballerina Lisaura.

Le vicende partono dal tentativo, quasi illusorio di Ridolfo, di salvare dal vizio del gioco Eugenio, giovane mercante vittima di perdite significative a cui non riesce a fare fronte e di aiutare la sua giovane sposa Vittoria, disperata per il comportamento del marito. Nello stesso tempo sulla scena compare Don Marzio, gentiluomo napoletano, chiacchierone maldicente che infastidisce i frequentatori del bar con le sue calunnie mascherate da verità nascoste e si diverte a manipolarne i destini e metterli in cattiva luce.

Questi allude, con Eugenio, alle abitudini erotiche della ballerina, descritta come abituale prostituta e compagna del Conte Leandro; nello stesso tempo descrive Placida, donna giunta a Venezia in cerca di suo marito Flaminio che l’ha abbandonata, come solita ad attirare gli uomini e che, dietro le sue richieste di aiuto, vi sia solo l’intenzione di attrarre Eugenio nella sua rete.

Don Marzio racconta inoltre a Vittoria, che Eugenio sta cercando di vendere i suoi orecchini per fronteggiare i debiti con Leandro, cosa che in verità ha proposto egli stesso offrendosi poi come intermediario dell’affare. Vittoria decide allora di lasciare suo marito riprendendosi la sua dote, specie quando vede che egli sta festeggiando con Leandro, Lisaura e Pandolfo sperperando i pochi soldi frutto di una effimera vittoria al gioco.

La situazione precipita, Lisaura caccia di casa lo pseudo conte Leandro e rivendica la sua onorabilità affermando che sperava che l’uomo la sposasse, Leandro/Flaminio cerca di uccidere sua moglie Placida, mentre Pandolfo prova ad estorcere altro danaro da Eugenio.

Ridolfo, simbolo di buoni principi tanto borghesi che mercantili, deve fronteggiare le maldicenze di Don Marzio e, con determinazione, cerca di riavvicinare Placida con Leandro, che in verità altri non è che Flaminio, suo marito ed Eugenio con Vittoria, mentre il gentiluomo napoletano macchina per conoscere i segreti di Pandolfo e i luoghi in cui custodisce le carte truccate ed i suoi averi, segreto che, come sempre, non riesce a tenere e svela ad un uomo giunto al caffè e rivelatosi poi un gendarme.

La piéce teatrale si chiude con la riappacificazione delle coppie e l’accusa, generalizzata di tutti i personaggi a Don Marzio, di essere uno spione ed un diffamatore, cosa che lo porterà ad essere isolato e abbandonato da tutti ed a cui egli controbatte rivendicando il bisogno di essere “cauti” e “onorati”.

“La bottega del caffè” è una delle sedici commedie che Goldoni scrisse intorno al 1750, in essa egli decide di rinunciare alle maschere per dedicarsi ai caratteri dei personaggi e curando i dialoghi che intercorrono fra di essi.

Eccellente interpretazione del suo personaggio da parte di Placido che, con stile arguto, comico e brillante, disegna una figura che sarebbe dovuta essere deprecabile, ma che risulta invece simpatica e quasi complice della cattiva abitudine di gran parte della gente di impicciarsi dei fatti del prossimo per poter godere delle loro difficoltà e sentirsi il “deus ex machina” dei destini altrui.