Don Nicola. Mentre la giustizia inizia il suo corso, il Tribunale social ha già deciso. Ma l’Italia è ancora un Paese garantista o no?
Mentre sui social si procede con i processi sommari, proviamo a porci due domande sulla vicenda senza avere la presunzione di conoscere la verità.
Se si è in cerca di sentenze definitive, siano esse di condanna o di assoluzione, questo non è il “luogo” giusto. Chi si aspetta ciò può anche non andare oltre con la lettura.
Decidere sulla colpevolezza o l’innocenza di Don Nicola De Blasio, arrestato con l’accusa di detenzione di materiale pedopornografico (leggi qui) sarà compito della Magistratura, non certo il nostro. Né tantomeno dei social che in buona parte, apprendendo la notizia, hanno già deciso, schierandosi dall’una o dall’altra parte delle due fazioni che si sono immediatamente create: tra chi, senza dubbio e senza bisogno di attendere gli sviluppi del procedimento o la versione dell’incolpato, ne ha già urlato la reità; e chi, più o meno allo stesso modo, ne urla con fede incrollabile l’innocenza.
E’ chiaro, comprensibile e umano che una notizia del genere abbia creato un certo scompiglio emotivo, sia in chi conosce Don Nicola di persona, che in chi ha assistito e apprezzato -magari a volte distrattamente e da lontano- il suo impegno civico e a difesa degli ultimi, nelle vesti di parroco e non.
Lungi da noi, però, voler procedere a una difesa d’ufficio. Non è questo l’intento. Qui si vogliono far rilevare due aspetti, diciamo collaterali, della vicenda.
Il primo è l’apparente -per alcuni- venir meno del principio della presunzione d’innocenza, che è un principio del diritto penale a mente del quale un imputato è considerato non colpevole sino a condanna definitiva, vale a dire, sino all’esito del terzo grado di giudizio emesso dalla Corte Suprema di Cassazione. Ricordiamo a costoro che l’essere sottoposto a indagini o a misure cautelari non è sinonimo di colpevolezza; per comprenderlo non bisogna aver studiato il diritto ma basta ragionare secondo logica: così non fosse, i processi non si terrebbero ma la decisione verrebbe presa solo sulla base delle risultanze delle indagini preliminari. Stante che non risultano ad oggi modifiche dell’assetto del nostro diritto penale, Don Nicola De Blasio per la legge penale italiana è innocente. Fino a prova contraria; prova che, per essere oltremodo chiari e precisi, deve essere fornita dall’accusa. La stessa – la prova- deve essere tale da convincere il giudice della colpevolezza dell’imputato (l’indagato diviene tale dopo l’elevazione del capo d’imputazione; fino a quel momento si parla di indagato) oltre ogni ragionevole dubbio. Questo giusto per sottolineare quanto è pregnante nel nostro sistema di valori il principio garantista. Ovviamente questo non vuol dire che Don Nicola sia innocente, che non abbia commesso il fatto o che le indagini svolte finora non abbiano rilevanza. Significa, semplicemente, che siamo in una fase embrionale di un procedimento -eventualmente- lungo e complesso che consterà, in caso di rinvio a giudizio, di tanti altri atti e fasi.
L’altro spunto di riflessione ci è dato dai tanti che appresa la notizia, l’hanno commentata dicendosi non sorpresi e facendo intendere più o meno chiaramente come la stessa fosse di “dominio pubblico” o, comunque, nota ai più. A questi vien da chiedere il perché, allora, se erano a conoscenza di situazioni /o fatti di una simile gravità hanno preferito essere omertosi e non denunciare? Queste persone, ammesso che non si tratti solo di chiacchiericci e vulgate populiste, sono consapevoli della gravità del loro silenzio?
Quel che è certo è che bisogna stare molto attenti nei giudizi e, soprattutto, con quelli sommari, senza dimenticare che in un caso e nell’altro si rischia di “giocare” con la dignità e i sentimenti dell’una o dell’altra parte in causa. Dietro a queste notizie, indipendentemente dalla “fazione” in cui si intende schierarsi, bisogna ricordare che ci sono delle persone: spesso delle vittime innocenti e, qualche volta, dei presunti “colpevoli” poi scoperti innocenti.
Per questo, forse, è il caso di chiudere temporaneamente i tribunali social e attendere, con pazienza e fiducia, il corso della giustizia.