Storie giallorosse – La storia di Tchangai e il mistero della sua morte

Storie giallorosse – La storia di Tchangai e il mistero della sua morte

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Primo calciatore del Benevento a disputare un Mondiale di Calcio, nel 2006 in Germania, la storia di Massamasso Tchangai, per tutti Komi, è ancora avvolta nel mistero da quell’8 agosto 2010, quando la sua giovane vita fu stroncata da un infarto (almeno questa sarebbe la ricostruzione ufficiale) all’età di 32 anni.

Nato ad Atakpamé, una città del Togo, capoluogo della regione degli Altopiani, Massamasso Tchangai, per tutti Komi, iniziò a calcare le prime volte i campi da calcio nel suo Paese, prima di trasferirsi in cerca di fortuna in Tunisia.

Da lì, l’Udinese, sempre attenta a cercare talenti in ogni parte del Mondo, lo scoprì e lo portò in Italia. Il 1998 per lui fu un anno decisamente importante: prima l’arrivo in Italia e poi la Coppa d’Africa con il Togo.

Difensore con fisico imponente, Tchangai era un laterale basso, di quelli che sgroppano sulla corsia destra, e si ispirava a Liliam Thuram. Arrivò a Benevento nel 2002 dalla Viterbese, con la moglie Mamafufana e la piccola Fridos, dopo qualche esperienza tra Slovenia e Olanda. Nel Sannio, grazie alla sua simpatia, divenne ben presto un beniamino dei tifosi giallorossi. Erano gli anni dello Sporting Benevento del presidente Pino Spatola, di cui Tchangai era una colonna portante. Pur senza riuscire, con la Strega, a sfatare il tabù Serie B, il togolese riesce comunque a scriverne la storia: Tchangai, infatti, fu il primo calciatore del Benevento a disputare le fasi finali di un Campionato del Mondo. Precisamente, parliamo di Germania 2006, a cui l’ex difensore giallorosso prese parte con il suo Togo.

Dalla C2 alla rassegna continentale più importante della galassia calcistica. Tchangai è il capitano di quella squadra, guidata in campo dal talento di Adebayor. Gioca con il numero 5, la targa della sua automobile è 5555, 5 è anche il numero civico della su abitazione. In patria, insieme ai suo compagni, diviene un eroe o quasi ma anche la Provincia di Benevento gli tributa gli onori del caso, nominandolo, nel 2005, ambasciatore del Sannio.

Sembra proprio una di quelle storie di sacrificio e di riscatto sociale, di quelle persone venute dal nulla e dalla povertà, che possono dire di avercela fatta. Anche il lieto fine sembra esserci. E invece è l’inizio della fine. Dopo il Mondiale, Komi resta svincolato: spera di trovare squadra in Italia ma nulla. Si trasferisce prima in Arabia e poi in Cina.

Sembra, appunto. Nel luglio del 2009 Radio France International diffonde la notizia di un suo coinvolgimento in una storia di narcotraffico. Così l’ex giallorosso decide di rientrare in Togo per spiegare, con una conferenza stampa, quello che ritiene essere un malinteso. All’arrivo a casa, però, trova una pessima sorpresa: Komi scopre che il fratello minore aveva venduto tutti i suoi beni. La conferenza salta, lui accusa un malore e viene ricoverato all’ospedale militare. L’8 agosto, proprio il giorno del suo 32esimo compleanno, viene dichiarato morto. Uno strano scherzo del destino.

In Togo però in molti dubitarono di questa ricostruzione dei fatti, proseguendo sul filone del narcotraffico: sul sito icilome.com diversi utenti scrissero che Tchangai era finito nel giro sbagliato e che la sua morte non fosse da attribuire a cause naturali. A corroborare questa tesi, pur in assenza di dati ed elementi certi e probanti, ci sarebbe la circostanza che la droga sudamericana facesse sempre tappa in Africa prima di ripartire per l’Europa e l’Asia e che il Togo venisse citato come punto di transito, con l’aeroporto di Niamtougou come teorico “hub” del narcotraffico. In tutto questo, nessuna certezza. Così come sulla morte del povero Komi, che anche oggi dopo 14 anni è ancora avvolta nel mistero.