Libera e il ricordo di Borsellino dinanzi al cementificio Ciotta confiscato alla criminalità

Libera e il ricordo di Borsellino dinanzi al cementificio Ciotta confiscato alla criminalità

AttualitàBenevento Città

Se nella poesia di Montale il ricordo è solo un istante, un’immagine di breve durata che emerge per scomparire di nuovo inghiottita dal tempo, attimo connaturato a quel “male di vivere” congenito alla condizione della vita umana, nel presente del primo pomeriggio di venerdì 19 luglio, davanti al cementificio Ciotta, bene confiscato alla criminalità, la memoria è diventata presente e con essa sono apparsi partecipi alla vita attuale, uomini e donne che hanno sacrificato la vita per la giustizia, la libertà e la verità, personaggi come Paolo Borsellino e tutta la sua scorta.

Chi era Borsellino? Un eroe? No, un uomo normale che credeva nelle cose giuste della vita e che fossero giuste per tutti, sempre, a qualunque costo, perchè l’ingiustizia, la malavita, la mafia, la violenza erano cose inconcepibili nella sua mente, dunque un uomo normale, non un eroe.

Con il preciso intento di non celebrare in modo rituale esponenti delle istituzioni e della nostra storia, il Coordinamento Provinciale di Libera Benevento, in collaborazione con l’Anpi provinciale di Benevento ed il gruppo scout Agesci Benevento 2, ha voluto ricordare quel 19 luglio del 1992 in cui Paolo Borsellino e la sua scorta furono vittime di un’auto bomba, a meno di due mesi dalla strage di Capaci del 23 maggio dello stesso anno, in cui aveva perso la vita Giovanni Falcone e quasi tutta la sua scorta. 

 La cerimonia si è tenuta davanti ai cancelli del cementificio Ciotta, luogo simbolico dell’antimafia sociale,  bene già confiscato alla criminalità e dal profondo significato anche politico ma, come ricordato da Michele Martino, referente “Libera” per Benevento, ancora oggi non destinato a funzioni a favore della comunità, cosa che invece dovrebbe essere obbligata, afferma.   

Erano presenti alla commemorazione il dott.Gianfranco Scarfò, Procuratore aggiunto presso il Tribunale di Benevento, la dottoressa De Gregorio Rosa, vicario del Questore, il prof. Amerigo Ciervo, Presidente Anpi Benevento, Antonella Rubbo, rappresentante Cgil Benevento, alcuni rappresentanti degli Scaut di Benevento ed un rappresentante del sindacato Unarma della città.

Paolo Borsellino è stato, insieme a Giovanni Falcone, artefice della lotta alla mafia in quanto membri del pool antimafia, voluto in principio da Rocco Chinnici a cui successe, dopo il suo assassinio mafioso, Antonino Caponnetto. L’opera di questi magistrati portò al cosiddetto “Maxi processo” che vide alla sbarra 460 mafiosi e durò dal 10 febbraio 1986, al 30 gennaio 1992, atto dal significato internazionale,  che vide la condanna di personaggi anche importanti del mondo della mafia, tra Corleonesi, capeggiati da Salvatore Riina e Bernardo Provenzano e mafia palermitana, tutti artefici di oltre 600 omicidi.

Il 1992 però doveva segnare una battuta d’arresto all’aspra lotta alla malavita siciliana, prima Falcone e poi Borsellino furono individuati come bersagli obbligati della mafia e messi a tacere per sempre.

Martino ha voluto ricordare, con passione umana e sociale, in modo particolare, ricorrendone l’anniversario della morte, Paolo Borsellino, ma anche gli uomini e la donna della sua scorta e precisamente Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, ognuno con la propria storia personale alle spalle, agenti, alcuni giovanissimi, che oltre all’amore per il loro lavoro, avevano una vita già programmata e desideri e speranze per il futuro.

Un ricordo particolare è stato fatto al sacrificio di Emanuela Loi, prima donna di una scorta a morire per mano del potere mafioso.  Una donna che, come i suoi compagni, ha dato la vita per ciò in cui credeva, un “morire per le idee” che ha avuto illustri predecessori nel tempo, ci piace, a titolo di esempio, ricordare il personaggio Socrate, ma questa donna ed i suoi compagni, nel nostro presente, lo hanno fatto perché credevano, in modo assoluto, nella giustizia e nei principi della nostra Costituzione.  

La memoria di questi sfortunati uomini dello stato è, noi pensiamo, non solo obbligata, ma soprattutto necessaria, per comprendere come si possa mettere a rischio la propria vita per ciò in cui si crede e per il bene della società, ma soprattutto di come ci si debba impegnare per perseguire i loro stessi principi.

Borsellino credeva fermamente nel suo lavoro, ma amava la famiglia, al punto di mettere a rischio la propria vita per andare a trovare sua madre, cosa che fece quel 19 luglio recandosi in via D’Amelio dove, con decisione cinica e crudele, la mafia, su disposizione della Commissione interprovinciale di Cosa nostra,  aveva piazzato un’autobomba in una vecchia Fiat 126, parcheggiata nei pressi dell’abitazione della madre del magistrato, un boato e la vita di tanti servitori dello stato fu cancellata, ma, come ricorda sempre Martino, il loro esempio di perseguire la giustizia e la verità rimangono ancora oggi, modello di integrità umana e sociale che nessuna bomba potrà mai cancellare.

Hanno voluto ricordare l’importanza della data, ma soprattutto del sacrificio di Borsellino e di tanti uomini e donne delle istituzioni, prima Amerigo Ciervo ed a seguire il dott. Scarfò e la De Gregorio, tutti convinti che, pur nel significato tragico dell’evento, la morte del magistrato e della sua scorta sia, ancora oggi, un alto esempio di fede nei principi guida di una società sana e rispettosa della Costituzione, soprattutto in questo tempo in cui tante decisioni politiche appaiono controverse.

Essi hanno perseguito ed indicato la strada per un modello di vita che risulta fondamentale per i tanti giovani che si affacciano alla vita, come testimoniato dai rappresentanti scaut presenti all’evento, ragazzi  che perseguono, tra altre cose, lealtà verso la propria comunità, riconoscimento e rispetto per la dignità del proprio simile e per l’integrità del mondo naturale.

E’ poi stata affissa, dai ragazzi scout, sui cancelli del cementificio Ciotta, una bandiera che riportava, nella sua parte bianca, la scritta “capaci di riutilizzare il bene”, affiancata da un mazzo di fiori. A loro poi, su iniziativa di Libera e del suo rappresentante, è stato donato un tricolore che essi potranno far sventolare nei luoghi dei loro campi, simbolo di amore per il paese, ma soprattutto di attaccamento ai principi di convivenza già indicati nella nostra carta costituzionale.

Sergio Giuntini con “Oltre la vittoria”, lettura dello sport tra propaganda e antifascismo

Sergio Giuntini con “Oltre la vittoria”, lettura dello sport tra propaganda e antifascismo

Cultura

Sport, agonismo e propaganda politica, lettura nuova e accattivante della pratica sportiva del Fascismo, dapprima come strumento di propaganda diventato poi, in molti casi, mezzo di lotta al totalitarismo del ventennio, nel libro di Sergio Giuntini, presentato nella serata di venerdì presso il “palazzo del volontariato” – Croce Rossa – a Benevento.

Sergio Giuntini è il Presidente della Società Italiana di Storia dello Sport ( SISS) e membro dell’Accademia Olimpica Nazionale Italiana (AONI), nonché autore di moltissimi saggi di tema sportivo.

Accolto da Erminio Fonzo e Amerigo Ciervo, rispettivamente presidente della sezione beneventana dell’Anpi e presidente Comitato provinciale Anpi, Giuntini è stato invitato a raccontare il significato della sua opera “Oltre la vittoria”.

 Giuntini, membro egli stesso dell’Anpi, è stato  presentato da Erminio Fonzo che ha definito il lavoro di Giuntini “una sorta di “dizionario biografico” sull’antifascismo sportivo e sugli atleti che hanno contribuito alla lotta contro il totalitarismo nel periodo delle due guerre e durante la seconda guerra mondiale nei movimenti di resistenza”.

Nel volume, continua Fonzo, si cerca di colmare la dimenticanza dei tanti, molti ignoti, ma campioni dello sport che, andando “oltre la vittoria”, hanno combattuto il nazifascismo sacrificando le loro vite entrando nella Resistenza.

Sappiamo bene come lo sport sia stato spesso utilizzato, già a partire dall’Antica Grecia, per esaltare la bellezza e la forza di una nazione, il   totalitarismo fascista non fu da meno e lo utilizzò come strumento di propaganda politica ed esaltazione della forza fisica, quel vigore corporeo che rappresentava la via maestra verso la possanza guerriera necessaria in una guerra.

Lo stesso Mussolini amava farsi immortalare mentre praticava dello sport convinto che, riprendendo l’utopia nietzschiana dell’uomo nuovo, l’uomo fascista potesse rappresentare “l’inno e la battaglia, il libro e il moschetto, il pensiero e l’azione, la cultura e lo sport”.

A questo fine egli creò delle organizzazioni come l’Opera Nazionale Balilla e la Gioventù Italiana del Littorio, che si dovevano occupare della preparazione fisica dei giovani.

Fonzo ricorda inoltre che nel libro di Giuntini sono citati nomi noti, come Bartali, che ebbe un ruolo discusso nel sostegno agli ebrei, ma anche tanti nomi poco conosciuti, sportivi e sportive italiani, tedeschi polacchi, francesi, che hanno dato il loro contributo alla lotta contro i totalitarismi, mettendo a repentaglio, molto spesso, la loro carriera se non addirittura la loro vita.

Ciervo ricorda poi che lo scritto di Giuntini rappresenta una testimonianza che mancava e cioè, lo sport in rapporto al Fascismo, ma soprattutto all’Antifascismo. Egli ringrazia poi Giuntini perché, grazie al suo scritto, ha potuto conoscere la storia di un calciatore del Napoli degli anni ’50, tale Antonio Bacchetti, detto dai partenopei ‘O Cammello, che nel 1951 subì un processo in corte d’assise a Udine per il suo passato partigiano. Con il nome di “Gianni”, egli fu accusato di reati di guerra e di aver ucciso, durante il periodo partigiano, tale Antonio Camuzzi, collaborazionista e arraffatore fascista; Bacchetti fu poi amnistiato dalla legge Togliatti del 1946.

Giuntoli ricorda di aver immaginato il testo ripensando all’importanza che hanno avuto, nella guerra fredda, i Festival mondiali della gioventù democratica, a cui partecipavano giovani di tutto il mondo, movimenti della sinistra, di cui sono stati presidenti illustri italiani come Enrico Berlinguer.

 Egli aveva notato che nella composizione del comitato centrale della federazione c’era anche tale Antonio Bacchetti calciatore. Di li è nato il progetto di scrivere su questo calciatore e di giovani italiani che, cresciuti nell’Italia fascista, in un sistema totalitario, indottrinati politicamente fino all’eccesso, all’interno del quale lo sport aveva una valenza fondamentale, pilastro del regime fascista e del nazional-socialismo tedesco, ma anche in altre forme del comunismo orientale, avessero poi fatto scelte di lotta a tali regimi.

Tanti i processi contro ex partigiani in Italia a fronte dei  pochi quelli contro ex fascisti, come quello contro Andrea Chieti, calciatore del grande Torino, arrestato e tenuto in prigione per un caso analogo a quello di Bacchetti e poi assolto per non aver commesso il reato.

Emblematico il caso di una partigiana, una ragazza di cui ha parlato in un altro libro “Biciclette partigiane: diciannove storie di ciclismo e Resistenza”, una giovane di nome di Zelinda, una staffetta partigiana, membro della Quarta brigata Garibaldi Venturoli, nome di battaglia Lulù che nel maggio del 1951, anni del centrismo democristiano, anni della resistenza tradita, dei processi alla Resistenza, viene arrestata a accusata di uccisione e occultamento del cadavere di tale sottotenente Giacomo Malaguti. Condannata al carcere, ammalatosi di tubercolosi polmonare si ricovera al manicomio criminale di Aversa, ma viene poi riconosciuta innocente.

Tanti i personaggi citati nel libro che hanno fatto dell’attività sportiva un mezzo di opposizione ai totalitarismi, questo in tutta Europa, tanti gli “sportivi resistenti” che hanno combattuto per un’Italia diversa e migliore rispetto a quella prospettata dal Fascismo. Nel libro tante storie che Giuntini ha estrapolato rivisitando le loro vite passate attraverso lo sport.

Molti avevano cominciato a fare sport durante il Fascismo, alcuni con carriere brillanti durante il ventennio, poi dopo l’8 settembre, quando fu necessario operare una scelta,  molti di loro hanno aderito alla lotta al Fascismo e sono diventati partigiani, come Michele Moretti, già calciatore nelle giovanili dell’ Esperia , poi nella  Comense , commissario politico della 52° “brigata Garibaldi Luigi Clerici”, che ferma Mussolini quando il 27 aprile 1945 egli stava fuggendo in Svizzera camuffato da tedesco.

Altro personaggio significativo è stato Gianni Brera,il più grande giornalista sportivo italiano, che, già ufficiale fascista, abbandonata ogni simpatia totalitaria, divenne partigiano come aiutante maggiore della 89°brigata Garibaldi Luigi Comori, nella Val d’Ossola e divenne l’autore del diario storico della sua brigata.

Dopo un ricordo del ruolo del Partito Comunista tedesco nella resistenza al Nazismo e della sua organizzazione sportiva molto importante, Giuntini ricorda anche il ruolo dello sport nella Germania Democratica post bellica, strumento di rivalsa sociale nei confronti della Germania Federale, mezzo di riscatto internazionale che, nonostante gli scandali per le varie forme di doping, aveva regalato al paese visibilità internazionale.  

Egli non manca di citare il ruolo del pugilato nell’immaginifico fascista che,  nel dopoguerra, almeno fino agli anni ’80, diventa ben presto luogo di rivalsa delle categorie sociali più svantaggiate e dunque di sinistra.

Sport, politica e società, sono dunque ambiti solo apparentemente diversi e lontani, sfere della vita pubblica e privata che si sono spesso intrecciate orientando lo sviluppo comunitario e indirizzando scelte di vita.

La lunga notte del ’43: convegno Anpi con lezione di Costituzione, storia e memoria

La lunga notte del ’43: convegno Anpi con lezione di Costituzione, storia e memoria

Cultura

Nella mattinata di venerdì 29 settembre, negli spazi dell’Aula Magna del Dipartimento di Diritto Economia Management e Metodi Quantitativi (DEMM) dell’Università degli Studi del Sannio, l’Anpi di Benevento ha presentato “ Antifascisti adesso….perchè non è ancora finita”, l’ultimo lavoro  di Gianfranco Pagliarulo, Presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia.

Hanno arricchito l’incontro, oltre il già citato autore, Giovanni Cerchia, docente Università del Molise, Antonella Tartaglia Polcini, docente Ordinaria di Diritto Università del Sannio e assessora alla Cultura del comune di Benevento, Gerardo Canfora, rettore magnifico Unisannio, Amerigo Ciervo, presidente Comitato provinciale Anpi nonché coordinatore dell’evento.

Affollata l’aula di studenti e docenti di numerose scuole superiori cittadine oltre che di un pubblico attento e partecipativo.

Ciervo ha aperto i lavori rivolgendo i saluti di rito agli ospiti, al coordinatore regionale Ciro Raia, presente nell’aula, ed a tutti i presenti e ricordando, nella sua prefazione, che il titolo del convegno è stato tratto dal film “La lunga notte del ‘43”, film del 1960 diretto da Florestano Vancini e liberamente tratto dal racconto “Una notte del ‘43” della raccolta “Cinque storie ferraresi”, libro con il quale Giorgio Bassani vinse il Premio Strega nel 1956.

Egli ricorda poi che ricorre, quest’anno, l’ottantesimo anniversario di diversi eventi, come le 4 giornate di Napoli e la settantacinquesima commemorazione della nostra Costituzione, ottenuta grazie a chi ha combattuto perché si arrivasse ad essa, come fece la città di Napoli, capitale dell’antifascismo.  

Cita infine le parole di Eschilo in merito ai Persiani dei quali diceva: “si vantano di non essere schiavi di nessun uomo, sudditi di nessuno”, forte esempio del bisogno di costruire la propria vita liberamente e senza autoritarismi o totalitarismi avendo come unico “padrone” la nostra Costituzione.

Interviene il Rettore Canfora che ricorda il suo studio della storia, il tutto con due certezze: che il suo studio avrebbe evitato in futuro il ripetersi degli stessi errori e di indirizzare verso una società migliore. Dichiara poi di essersi accorto che le cose non vanno proprio così. Fatti sbagliati che si ripetono e una strisciante rilettura di parte della storia che dimentica il dono di una Costituzione democratica.

L’antifascismo, molla della nostra carta costituzionale, viene, spesso, già da alcuni anni, riletto, in modo subdolo, in modo parziale, non viene negato, ma riletto in modo di parte, come se parlassimo del concetto di nazione di Mazzini, uno dei padri della nostra unità nazionale, paragonandolo a quello di nazionalismo tipico degli assolutismi.

Egli si chiede e chiede all’autore del libro, come tutto questo è potuto succedere senza che ve ne fosse piena consapevolezza e come rimettere la storia nella giusta luce.

Interviene poi la Polcini che, con fine conoscenza del diritto e della Carta costituzionale esalta la capacità di dialogo per una modernità di pensiero. Ella ricorda che la storia si fonda sui fatti e sulla memoria, i fatti vanno collocati nella giusta dimensione storico/spaziale, senza negazioni o revisionismi.

La prospettiva del libro, che lei condivide, è quella dell’esaltazione dei singoli e della comunità cui si appartiene. Nel titolo si parla di antifascisti, non di antifascismo in generale, perché l’attenzione deve essere mirata alle scelte individuali, a chi opera nella società. Lo scritto non è solo negazione di quanto di sbagliato è avvenuto nel passato -pars destruens -, ma anche proposizione di soluzioni – pars construens – che passano attraverso i corpi intermedi della struttura istituzionale che la Costituzione indica.

Ricorda infine che non si fonda la vita sociale sull’anti o sul non, ma soprattutto sul come e cosa fare, rompendo lo schema del nazionalismo.

Prende la parola Pagliarulo che ricorda la complessiva riscrittura della storia, spesso la politica, specie quella attuale, riconosce solo in parte ed in modo morbido, gli errori del passato, dimenticando il quadro complessivo degli errori del Fascismo che non fu solo l’emanazione delle leggi razziali, ma fu anche violenza contro chi non lo condividesse, volontà di invasione di diversi paesi, cancellazione di diritti, ecco il nazionalismo.

Ogni nazionalismo esalta il proprio paese vedendo nell’altro un nemico, la nazione è invece amore di ogni popolo. Egli ricorda la forza dell’antifascismo durante le 4 giornate di Napoli, ma soprattutto la necessità di ricordare i fatti come sono avvenuti e fare poi le proprie scelte di vita e sociali. La storia afferma, non può essere interpretata dalla politica, ma dallo storico.

Essere antifascisti adesso non è come esserlo stato in passato, ma comunque vuol dire essere contrari all’autoritarismo, al nazionalismo, al razzismo; tornare al fascismo del ventennio non è possibile, ma la deriva autoritaria, del cesarismo dell’uomo solo al comando, con relative restrizioni delle libertà personali è possibile, ecco il senso dell’antifascismo odierno. Dopo l’esame di diversi articoli della Costituzione e del mancato rispetto di essi, la parola passa al prof. Cerchia.

Quest’ultimo si fa protagonista di una precisa ricostruzione storica e, partendo dal titolo di un suo scritto :“La memoria tradita”, egli ricorda che la storia guarda al passato, la memoria invece al presente. La memoria trasferisce ricordi di fatti, tradizioni e valori ed esperienze, la Costituzione è memoria dell’antifascismo, codificazione giuridica della resistenza, strumento che non guarda a destra o a sinistra, ma tocca la comunità nazionale. Purtroppo spesso si dimentica o si cerca di far dimenticare.

Dopo il ricordo della memoria tradita sulla condizione del mezzogiorno negli anni bellici, del ruolo delle donne, spesso disconosciute nella loro funzione resistenziale, delle condizioni economiche e dei bombardamenti subiti nel Meridione, della sua tradizione culturale spesso disconosciuta, degli eccidi subiti, egli ricorda che esso si è assunto le proprie responsabilità ed ha reagito, come accadde a Napoli nelle 4 giornate.

Giornata dunque di storia e esaltazione dei diritti civili conquistati con il sacrificio e la vita del popolo italiano.

25 Aprile a Benevento tra memoria, festa della liberazione dal nazifascismo e libertà

25 Aprile a Benevento tra memoria, festa della liberazione dal nazifascismo e libertà

AttualitàBenevento CittàCultura

25 Aprile di festa, di esaltazione della libertà e di memoria della lunga lotta di liberazione dal nazifascismo nelle strade di Benevento.

 Un lungo e variopinto corteo di gente di ogni età che, nella mattinata di questo 25 Aprile, sventolando bandiere dell’Anpi e della pace, accompagnato dalla banda musicale che intonava il canto della Resistenza e cioè “Bella ciao”, ha attraversato il corso Garibaldi per ricordare i tanti partigiani, combattenti armati e semplici civili che, a partire dal 1943, contribuirono, sacrificando anche la vita, alla liberazione dallo straniero e dal regime fascista.

Il corteo, aperto da un lungo striscione dell’Anpi, sostenuto dal Presidente Anpi Amerigo Ciervo, dalla vicepresidente  dell’Anpi provinciale Teresa Simeone, dal precedente Presidente Anpi Tonino Conte e da tanti sostenitori del movimento, con la scritta “25 Aprile con la Pace”, è sfilato, gioioso e responsabile lungo la strada centrale della città, quasi a testimoniare la consapevolezza del bisogno senza tempo di difendere il bene più prezioso di ogni individuo e cioè la libertà, la democrazia e il diritto ad una vita degna e libera, come afferma l’articolo 2 della nostra Costituzione.

Sebbene il 25 Aprile sia la data della liberazione della città di Milano, città medaglia d’oro della Resistenza, la data è stata salutata come simbolo della liberazione italiana dal nazifascismo. Impossibile non sottolineare le rappresaglie tedesche contro i partigiani, basti solo ricordare i 335 civili massacrati a Roma nelle Fosse Ardeatine o la strage di Marzabotto che vide 1830 vittime, senza tralasciare i tanti, uomini e donne, che caddero per un unico scopo: la liberazione e la rinascita della democrazia.

Giunto nello spazio di Piazza Matteotti, il corteo ha fatto sosta per gli interventi delle autorità e degli animatori dell’iniziativa. Coordinati da Teresa Simeone, i discorsi sono stati preceduti da un minuto di silenzio in memoria delle vittime delle guerre e dal pensiero ai tanti partigiani che hanno sacrificato la vita per la libertà di cui noi oggi godiamo.

E’ intervenuto il Sindaco Clemenete Mastella che ha voluto ricordare tutti coloro che hanno combattuto per fare in modo che l’Italia si liberasse, dopo una guerra ingiusta, dagli ultimi filamenti della presenza nazifascista nel nostro paese e ha voluto sottolineare il paradosso di quanti cercano, in questi giorni, di polemizzare sulla parola “antifascista” e sulla presenza di essa nella Costituzione, dimenticando che quest’ultima è figlia dell’antifascismo e che riporta, nella XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, il divieto della riorganizzazione del Partito Nazionale Fascista.

Egli ricorda anche che una piazza di Benevento è stata dedicata a Maria Penna, partigiana beneventana barbaramente trucidata nel 1944.

E’ poi intervenuto lo studente Fausto Desiderio, presidente della Consulta provinciale studentesca, che ha affermato che  la Storia ci insegna a comprendere la storicità degli eventi ed il fatto che gli eventi stessi, frutto di personaggi e circostanze particolari, possono ripetersi e dunque è necessario contrastare situazioni che non avrebbero permesso manifestazioni come quella cui si sta partecipando, avendo vietato la libertà di espressione, la sussistenza di partiti politici oltre quello fascista e avendo perseguitato tutti gli oppositori politici.

Dopo la lettura di un messaggio di condivisione del Procuratore della Repubblica di Benevento, Aldo Policastro, assente per motivi di lavoro, da parte di Giovanna Altieri, della sezione Anpi di Benevento, in cui egli si associava alle ragioni storiche e civili della necessità di ricordare la data della liberazione dall’oppressione nazifascista, è intervenuto il Rettore dell’Università del Sannio Gerardo Canfora che ha ricordato che la celebrazione del 25 Aprile diventa, di anno in anno, sempre più importante, esso ricorda infatti il tempo del coraggio e dell’orgoglio di tanti che, oltre agli stessi partigiani, hanno contribuito a disegnare il mondo nel quale viviamo. Il nostro è un paese che ancora presenta squilibri nei diritti civili e lavorativi, eppure, come diceva Sandro Pertini : “ E’ meglio la peggiore delle democrazie che la migliore delle dittature”.

Salgono poi sul palco tre giovani del Gambia, presenti in Italia da otto mesi, che hanno letto gli articoli 3, 10 e 11 della nostra Costituzione, lettura a cui sono seguiti calorosi applausi.

Ha chiuso gli interventi Amerigo Ciervo che ha ricordato come la celebrazione del 25 Aprile sia importante sempre, ma  specie nel tempo di oggi , un tempo in cui, da parte di certa politica, si cerca di  ridimensionare il ruolo del movimento partigiano e del significato dell’antifascismo. Egli ha ringraziato quanti sono intervenuti per celebrare l’evento, tutti di diversa estrazione istituzionale e sociale, ma tutti rappresentanti simbolici delle diverse componenti della Repubblica nata dalla Resistenza.

Egli ricorda che quest’anno ricorre l’ottantesimo della caduta del fascismo, dei bombardamenti di Benevento, delle 4 giornate di Napoli, cosa di cui si è parlato nelle scuole, luogo di formazione delle future generazioni, come il rapporto fra Resistenza e Costituzione e l’importanza di operare una scelta. Si sono inoltre ricordati i tanti caduti in nome della libertà, fino agli ultimi due combattenti partigiani, scomparsi da poco, Alfredo Festa e Giuseppe Crocco, quest’ultimo detto “Caramba”.

A chi accusa l’Anpi di essere di parte, egli afferma che è di parte, perché essa vuole garantire che i principi democratici e costituzionali vengano salvaguardati, che si possa far nascere e far venire al mondo qualcosa di diverso, di altro, di migliore, come hanno sognato i partigiani, perché il sogno del futuro è nella non accettazione del nostro presente.  

I partigiani non hanno lottato per vincere, ma per costruire un mondo migliore, essi lottavano per liberare e la liberazione è davvero di tutti, anche di quelli che erano contro.

Egli ha concluso inneggiando alla Costituzione, alla Resistenza ed all’Italia.

E poi voluto salire sul palco l’ottuagenario Liberatore Giuseppe, alpino e combattente per Trieste che, al di fuori di altre commemorazioni, ha voluto ricordare il fondamentale ruolo delle donne durante la guerra, madri, mogli e soprattutto instancabili lavoratrici che hanno portato sulle loro spalle l’agricoltura, la crescita dei figli e tutta l’economia, oltre che, in molti casi, anche il ruolo di sostegno ai partigiani.

Bella festa della Repubblica, momento che ha coinvolto moltissime persone in un progetto di libertà e diritti che il Fascismo aveva negati ed a cui tantissimi, con coraggio e determinazione, si sono opposti, regalandoci la democrazia di cui oggi godiamo, momento di memoria, ma soprattutto di progetto di un futuro di giustizia e rispetto di ogni individuo.

Alla Rocca dei Rettori, l’Anpi di Benevento presenta il terzo volume di “Sentieri di resistenza”

Alla Rocca dei Rettori, l’Anpi di Benevento presenta il terzo volume di “Sentieri di resistenza”

AttualitàBenevento Città

Nella serata di mercoledì 4 gennaio è stato presentato, presso la Rocca dei Rettori di Benevento, il terzo volume dell’opera “Sentieri di Resistenza”. In esso sono stati raccolti gli interventi del terzo ciclo di seminari dell’Officina “Maria Penna” che si sono succeduti tra il 2019 ed il 2020. Presenti all’evento Amerigo Ciervo, presidente provinciale ANPI Benevento, Nicola Sguera, responsabile dell’Officina, Vincenzo Calò, della Segreteria Nazionale ANPI e Ciro Raia, Coordinatore regionale ANPI Campania.

Il libro, che presenta una copertina curata da Gaetano Cantone, è suddiviso in tre sezioni che affrontano saggi di filosofia e diritto, storia e storia dell’arte. Hanno contribuito al lavoro Vincenzo Baldini, Nicola Sguera, Vincenzo Casamassima, Dolores Morra, Antonio Conte, Mariavittoria Albini, Amerigo Ciervo, Teresa Simeone, Ilaria Vergineo, Corrado Tesauro, Lorenzo Covino.

Il lavoro vede in chiusura una descrizione de “L’albero della Repubblica”, cartella di grafica dedicata alla democrazia italiana.

Ha aperto i lavori Nicola Sguera che ha presentato gli scritti presenti nell’opera dandone una sommaria descrizione.

 A lui è seguito Amerigo Ciervo che ha voluto ricordare i difficili tempi in cui vive lo spirito partigiano e la sua memoria, la voglia di un falso revisionismo che ha visto, anche da parte di membri del Parlamento e dell’attuale governo, la falsità della commemorazione dell’anniversario della nascita del MSI, la mancata elezione della sindaca di Marzabotto, e tanti altri eventi che rappresentano quasi un modo per dimenticare o cancellare il ruolo della resistenza.

Egli ricorda le responsabilità della politica, soprattutto nell’omologazione dello schieramento di destra e sinistra, il rituale spesso obbligato del “giorno della memoria”, per non dimenticare un libro in uscita a Morcone sulla famiglia Mussolini. Egli ricorda come sia indispensabile affidarsi alla Costituzione, specialmente oggi che il nuovo governo attacca il reddito di cittadinanza come fosse il primo atto indispensabile, che dimentica i diritti delle donne e si preoccupa invece di portare avanti il progetto di autonomia differenziata e di meritocrazia nelle scuole.

 Essere antifascisti oggi, egli continua, è impegnativo, ma necessario, “chi pensa all’umiliazione come fattore di crescita è un fascista” afferma con forza. E’ necessario attuare la Costituzione e l’Anpi ha precisamente questo obiettivo.

Prende la parola Vincenzo Calò che, orgogliosamente fa notare la spilla che porta appuntata sulla giacca, la spilla “Bella ciao”, come volle chiamarla la compianta Presidente Nazionale Carla Nespolo dietro domanda di un coltivatore di rose. Ricorda poi che la memoria è ricchezza, allegria, unico mezzo per guardare avanti e la parola “sentieri” è significativa di un percorso di vita che abbia senso e significato.

In merito al valore della memoria, egli racconta poi la storia di un vecchio che camminava lungo un sentiero con sua nipote e, ripetutamente, si fermava per guardare indietro e alle ripetute richieste della bimba sul perché guardasse sempre indietro, il vecchio avesse risposto :“ Per avere ben chiaro dove andare, per non sbagliare, bisogna voltarsi indietro per vedere da dove veniamo”.

Ricorda poi che il revisionismo storico è oscurantismo, esso dice falsità e pretende di farle passare per verità, si vuole cancellare la definizione di “fascista” per sostituirla con quella di “patriota”, il termine “nazione” ha preso il posto di “paese”, si ripete quasi ossessivamente : “prima gli italiani”, ma questa affermazione giustifica solo la presenza di una gerarchia, come pure celebrare il presidenzialismo è solo un modo per cancellare il potere del Parlamento e il principio della divisione dei poteri caro alla nostra Costituzione.

Bisogna essere felici di essere sostenitori della libertà, dell’uguaglianza e l’essere antifascisti, ricordando i tanti che scelsero di combattere per questi ideali, non per un loro tornaconto, ma per il popolo italiano e, fra essi, i tanti meridionali che andarono a combattere nel nord Italia ancora occupato dai tedeschi.

Memoria dunque non è passiva celebrazione, ma attiva azione, anche in memoria delle tante donne partigiane che hanno scelto di rompere i tabù sociali della tradizione e combattere insieme agli uomini, costruendo così il proprio percorso di emancipazione, come ricorda la partigiana e scrittrice italiana Marisa Ombra.

Chiude l’incontro Ciro Raia che ricorda come il popolo è tornato ad essere individuo e dunque ognuno pensa per sé, dimenticando la solidarietà; Il partigiano non è solo chi ha imbracciato il fucile o imbraccia il fucile ancora oggi, il partigiano è anche chi non vuole la guerra e combatte senza imbracciare le armi. Siamo partigiani di desideri, desiderio di pace, libertà, amore, uguaglianza.

Ha poi rivendicato le scelte dell’Anpi in merito alla necessità di non inviare armi per la guerra Russo- Ucraina in nome della pace, sostenuta in tale posizione da Papa Francesco.

Purtroppo oggi si pensa solo al benessere sociale, afferma, dimenticando i principi di equità ed il dettato costituzionale soprattutto dell’articolo 3. Se qualcuno chiede se il Fascismo può tornare, dobbiamo rispondere che il Fascismo di Mussolini non tornerà, ma esso si può ripresentare in tante forme diverse e spesso apparentemente costituzionali. Egli ricorda, a tale proposito, le parole di Sandro Pertini:“ Il fascismo non è un’opinione è un crimine”.

E’ necessario operare nelle scuole e diffondere la cultura, strumento di conoscenza ed apertura alla comprensione degli eventi, solo così si diffonde l’antifascismo e, per citare Machiavelli, “Mai smettere di sperare e continuare”. Egli conclude affermando che è’ necessario alzare le barricate per cambiare questa società troppo spesso senza memoria, perché memoria vuol dire “essere umanità” e senza di essa dunque perdiamo la nostra sostanza di uomini e cittadini.