Il BCT omaggia Ugo Tognazzi con le parole dei figli Gian Marco e Maria Sole Tognazzi

Il BCT omaggia Ugo Tognazzi con le parole dei figli Gian Marco e Maria Sole Tognazzi

AttualitàBenevento CittàCultura

Nella serata di domenica, a chiusura delle manifestazione del BCT, nella scenografica Piazza Roma di Benevento, Gian Marco  e Maria Sole Tognazzi, figli del grande attore Ugo, hanno ricostruito la storia artistica e umana del loro grande padre a cento anni dalla sua nascita.

Ha preceduto il loro racconto la premiazione di alcuni lavori realizzati in occasione del BCT e precisamente quello di Vincenzo Tancredi, per il suo lungometraggio “Vento del Sud”, Valerio Vetusto per il migliore cortometraggio e la classe 4 A del Liceo Classico “Giannone” di Benevento per un video sulla cinematografia.

La giornalista Sky Martina Riva ha moderato l’incontro e, dopo il saluto agli ospiti, ha chiesto a Gian Marco , anche lui attore e conduttore televisivo, di delineare la figura di Ugo Tognazzi come attore-regista e come padre.  Il figlio di Ugo ha immediatamente ricordato suo padre come un personaggio unico, appassionato di cinema e cucina, di se stesso diceva di essere un “cuoco”, non uno chef, prestato al cinema.

Egli ricorda anche che suo padre ha avuto tre mogli e quattro figli, il figlio maggiore Ricky, attore anch’egli, è nato dalla relazione con Pat O’Hara, dalla norvegese  Margarete Robsahm, sua collega, ha avuto Thomas, che continua a vivere in Norvegia e fa il regista, infine ricorda il suo rapporto importante con Franca Bettoja, dalla cui relazione sono nati Gian Marco e Maria Sole. Una famiglia allargata che Ugo amava raccogliere intorno a sé, specie durante le festività natalizie.

Scritturato in giovane età, nel 1950, dalla compagnia di Wanda Osiris, racconta Gian Marco, raggiunge il successo dopo aver conosciuto Raimondo Vianello, con lui forma una coppia comica di grande popolarità. Dal 1954, fino al 1959, lavora per la Rai nel varietà “Un due tre”, programma di raffinata comicità che viene chiuso  per una parodia dei due su un incidente accorso al Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi che, a causa del tentativo di un gesto galante con una signora, cadde a terra per la sottrazione della sedia accanto al presidente francese  De Gaulle.

All’esperienza con Vianello, continua Gian Marco, seguirà la sua partecipazione ad innumerevoli film, alcuni tipici della commedia all’italiana, come , “I mostri “(1963), “Il magnifico cornuto”” (1964), “ Straziami ma di baci saziami” “(1968), tanto per citarne alcuni, ed altri con ruoli drammatici, come il film : “La tragedia di un uomo ridicolo”, partecipazione che gli valse il premio come miglior attore protagonista al Festival di Cannes del 1981.

Considerato uno dei volti più significativi della commedia all’italiana, continua il figlio Gian Marco, insieme ad altri grandi attori come Alberto Sordi, Nino Manfredi e Marcello Mastroianni, è protagonista di film come “La marcia su Roma” di Dino Risi e “Il federale” di Luciano Salce.  

Come era come padre, chiede la Riva ai due ospiti? Gian Marco lo ricorda con grande affetto avendolo spesso accompagnato sul set dei suoi film, Ugo, dice, perché lui rispondeva solo chiamandolo Ugo e non papà, amava coinvolgere la sua famiglia nelle sue avventure artistiche, lui stesso, ricorda, ha ricoperto piccolissimi ruoli in alcuni suoi film.

Diverso il ricordo di Maria Sole, oggi regista, mai stata sui set dei film di suo padre e poco incline a seguirne il suo percorso artistico. Da ragazza, a scuola, a volte cambiava il suo cognome per non essere individuata come “la figlia di…”. Ha confessato di non aver mai visto i film del padre se non in età adulta e di aver riscoperto Ugo Tognazzi in occasione dei venti anni dalla sua morte quando girò il film “Ritratto di mio padre”.

Gian Marco ricorda poi le grandi tavolate intorno alle quali sedevano registi, attori, personaggi dello spettacolo, ma anche semplici amici e i pranzi che suo padre preparava aspettando il voto dei commensali. Inoltre, ricorda con simpatia, egli accettava critiche sui suoi film, ma non sopportava critiche sul cibo da lui preparato. Egli ricorda suo padre non chino su copioni, ma su libri di cucina da cui prendeva ispirazione per i pranzi dei “tredici apostoli”, amici che avrebbero giudicato i suoi piatti.

Non mancavano gli scherzi dei suoi amici, in modo particolare di Paolo Villaggio, come quello che lo indicava come capo delle Br, notizia riportata sulle maggiori testate e che Tognazzi dovette smentire più volte con fatica appellandosi al “diritto alla cazzata”. La notizia fu anticipazione delle fake news, lo stesso Vianello disse : “E’ pazzo, ma lo perdono”. Gian Marco ricorda che quando arrivò a scuola i genitori dei suoi compagni volevano linciarlo. Era anche il periodo del suo più grande successo internazionale, tempi dell’uscita de “Il vizietto” e “La grande abbuffata”.

L’intervista si è arricchita, in diverse occasioni, di brevi filmati tratti dai suoi film più famosi. “Il vizietto” sarà anche il film che lo rese famoso in America, precisa Maria Sole e ad esso si deve lo sdoganamento, per la prima volta, del tema dell’omosessualità. Ella ricorda poi la sua emozione nel dover prendere parte ad un film con Bertolucci : “ La tragedia di un uomo ridicolo” che, pur avendo già fatto 140 film, gli valse il premio come migliore interpretazione maschile al Festival di Cannes.

Gian Marco tiene poi a ricordare il torneo di tennis che Ugo volle organizzare a Torvajanica per diversi anni, torneo che vide moltissimi personaggi famosi del cinema e dello spettacolo scontrarsi in epiche sfide che facevano accorrere tantissima gente e che dava in premio lo scolapasta d’oro. Il torneo finiva sempre con una mangiata sostanziosa. Egli amava circondarsi di amici e persone con cui interagire e, quando veniva meno qualcuno di essi, i figli sostituivano gli assenti.

Tra i nomi celebri di queste edizioni del torneo di tennis, Gian Marco ricorda quello di Michele Placido, Vittorio Gassman, Gillo Pontecorvo e lo scultore Ferdinando Codognotto.

Simpatico il ricordo di un Tognazzi che per uno sbaglio della moglie, si ritrovò nei bagagli lo spartito di “Ultimo minuto” di Pupi Avati, spartito che il regista aveva lasciato per Paolo Villaggio e che questi aveva posato su un mobile dimenticandosene. La trama piacque tanto a Ugo che volle interpretarlo e che fruttò, poi, due David di Donatello.

Maria Sole ricorda invece il rapporto di grande amicizia personale e professionale che legava suo padre e Mario Monicelli, uomo spesso inquietante nell’aspetto, ma acuto e brillante regista che così ricordava il suo amico Ugo : “ Aveva una sorta di doppia personalità: mentre nella vita era festoso, mangiatore e bevitore, e prendeva le cose in totale allegria, durante il lavoro era invece molto rigoroso e molto attento, molto “sobrio”.

Tanti gli episodi raccontati, ma quello che più ci ha colpito è stato quello di un giorno in cui, ospite a casa Tognazzi Vittorio Gassman, ambedue a fine carriera per cambiamenti nello spirito del cinema, si vide i due rinchiudersi nella stanza di Ugo per un tempo lunghissimo dopo il quale, tornati tra gli altri ospiti ed i figli di Tognazzi, alla domanda su cosa avessero fatto o detto per tutto quel tempo, Ugo rispose : “ Abbiamo pianto”.

Uomo dunque poliedrico, Ugo Tognazzi si manifesta dunque, dalle parole dei figli, personaggio intrigante e sociale, artista affermato, ma nello stesso tempo padre affettuoso e premuroso. A noi viene voglia, come ha detto Gian Marco, di chiamarlo : “Ugo”……sperando che davvero possa ancora risponderci.

FOTO E VIDEO – Bct, l’amore per il cinema di Paolo Ruffini: “Mi ha salvato la vita”

FOTO E VIDEO – Bct, l’amore per il cinema di Paolo Ruffini: “Mi ha salvato la vita”

AttualitàBenevento CittàEventi

Il regista e attore, a Benevento per la prima nazionale del suo nuovo film “Rido perché ti amo”, trasmesso nel corso della terza serata del Bct nello splendido scenario dei giardini de “La Rocca dei Rettori”, ha parlato di amore, di cinema e del suo amore per il cinema.

Rido perché ti amo, il nuovo film diretto da Paolo Ruffini, è stato presentato in anteprima assoluta al BCT – Festival Nazionale del Cinema e della Televisione di Benevento, all’interno della cornice suggestiva dei Giardini della Rocca dei Rettori.

Presenti all’evento anche quasi tutti i componenti del cast da Nicola Nocella, Daphne Scoccia, Barbara Venturato, Claudia Campolongo, Giulia Privvedi alle Produttrici Martha Capello e Ilaria Dello Iacono, socie fondatrici di Pegasus.

Rido perché ti amo, prodotto da Pegasus con Rai Cinema e in arrivo nelle sale italiane il prossimo autunno, è una commedia romantica ispirata alla grande tradizione della commedia francese, dove non solo la regia e la scrittura, ma anche i costumi e la scenografia lavorano all’unisono per dar vita ad un mondo che sembra solo in apparenza realistico, ma che in realtà nasconde un forte senso magico.

Il soggetto è di Max Croci e Marina Scirocco. La sceneggiatura è firmata da Paolo Ruffini, Francesca Romano Massaro, Nicola Nocella e Max Croci.

Il cast è composto da Nicola Nocella, Paolo Ruffini, Daphne Scoccia, Barbara Venturato, Claudio Gregori, Enzo Garinei, Lucia Guzzardi, Giulia Provvedi, Herbert Cioffi, Claudia Campolongo, Filippo Caccamo. Con la straordinaria partecipazione di Herbert Ballerina e Loretta Goggi, e con Malika Ayane che interpreta anche la canzone originale del film.

Di seguito le parole di Paolo Ruffini nell’intervista rilasciata al nostro direttore Gerardo De Ioanni:

BCT Festival, alla “Rocca dei Rettori” l’attore-regista Pif

BCT Festival, alla “Rocca dei Rettori” l’attore-regista Pif

AttualitàCalcio a 5Cultura

La serata di martedì 12 luglio ha visto, a Benevento, l’avvio del Festival 2022 del BCT –Benevento Cinema Televisione-. La manifestazione ideata e diretta da Antonio Frascadore, ha lo scopo di celebrare il mondo del piccolo e del grande schermo grazie anche alla partecipazione di numerosi e significativi personaggi.

La rassegna ha avuto, tra i primi ospiti della serata, presso i giardini della Rocca dei Rettori, l’attore-regista-conduttore Pierfrancesco Diliberto in arte Pif, personaggio da un’ironia sempre acuta ed intelligente.

In un palcoscenico privilegiato quale è il giardino della Rocca dei Rettori di Benevento, affacciato sul paesaggio serale e quasi magico della città, davanti ad un pubblico numeroso e attento che aveva voglia di conoscere direttamente un personaggio particolare e suggestivo quale è Pif, l’attore-regista ha fatto il suo ingresso sul palco elargendo il suo sorriso accattivante e salutando i presenti, cercando poi, inutilmente tra il pubblico, il primo cittadino Clemente Mastella che, ha commentato sarcastico, forse ha preferito un altro luogo della manifestazione dove era ospite una donna.

L’intervista ha preso il via, secondo un modello giornalistico leggero ed ironico, dalla lettura delle notizie su Pif riportate da Wikipedia da parte dell’intervistatore  Alessio Viola, giornalista volto di punta di Skytg24, informazioni che, di volta in volta, l’attore ha riconosciuto come attendibili o meno: “ Figlio del regista Maurizio Diliberto e della maestra di scuola elementare Mariolina Caruso,  fin dall’età di dieci anni comincia ad appassionarsi al cinema”.

Egli ha ammesso il suo interesse precoce per il cinema, ma anche che l’anno significativo della sua formazione di uomo e poi di direttore artistico, è stato il 1992, anno del suo diploma, ma soprattutto, da palermitano, della strage di via D’Amelio in cui perse la vita Paolo Borsellino.

Egli racconta di essersi trovato non lontano dal luogo dell’eccidio e dell’esplosione che seguì lo scoppio e di aver pensato, ingenuamente, che fosse “una fuga di gas”. Dopo aver frequentato il liceo scientifico all’Istituto Salesiano Don Bosco Ranchibile, racconta di essersi recato a Londra per frequentare alcuni corsi di Media Practice, ma confessa anche , nonostante sia rimasto nella capitale inglese per quattro anni, di non aver mai imparato l’inglese se non in modo sommario.

Viola poi, sempre prendendo spunto dalle notizie di Wikipedia, ricorda come la sua carriera lavorativa inizia come assistente alla regia di Franco Zeffirelli in Un tè con Mussolini (1998). Esperienza che Pif ricorda però simpaticamente più come addetto ai cani del regista.  Importante invece il suo ruolo di assistente alla regia di Marco Tullio Giordana durante le riprese del film “I cento passi”, film vincitore di quattro David di Donatello ed un premio alla Mostra di Venezia.

Pif ricorda con emozione quell’esperienza vissuta a Cinisi ed in modo particolare ricorda la scena nella quale Luigi Lo Cascio, l’attore che impersonava Peppino Impastato, urlava il suo odio alla mafia e ricordava la distanza tra la sua casa e quella del boss mafioso Gaetano Badalamenti, una scena girata in un luogo in cui la mafia era ancora ben presente e dunque dall’impatto doppiamente significativo.

In merito al tema della mafia egli ha affermato, con vigore, di non poter accettare l’esistenza di un’organizzazione criminale che ha fatto della Sicilia il suo fortino, diffamando un popolo ed i suoi rappresentanti, tema caldo che, ricorda, ha affrontato con determinazione nel suo film più famoso: “La mafia uccide solo d’estate” del 2013.

Viola gli ricorda la sua udienza presso il Santo Padre e Pif rievoca quel momento con emozione ammettendo la sua condizione di “agnostico”, un requisito che, paradossalmente, afferma, implica un continuo confronto con la fede e con Dio, in quanto, se è vero che l’agnosticismo  afferma l’incapacità della mente umana a conoscere l’assoluto e dunque Dio, nello stesso tempo è una condizione che invoglia alla ricerca e dunque al confronto con l’idea dell’assoluto stesso.

Il suo ricordo scivola poi alla sua partecipazione al programma di approfondimento “Le iene”, dove lavora come autore e inviato dal 2001 al 2010  ed in modo particolare all’esperienza durante le feste della Lega Nord, manifestazioni durante le quali è riuscito a farsi fotografare insieme ad Umberto Bossi, fondatore storico della Lega Nord. Della sua attività con Le Iene ricorda poi la sua collaborazione con la compianta Nadia Toffa, amica attiva e sempre disponibile.

Ricorda anche, con simpatia e ironia, la sua partecipazione come inviato delle Iene nei panni di un abitante dell’Italia settentrionale in Sicilia, esperienza durante la quale lui, palermitano di nascita, chiedeva cibo o altro ad i suoi interlocutori storpiando la pronuncia siciliana dell’oggetto richiesto.

Il giornalista Sky Alessio Viola chiede all’attore l’origine del suo nome artistico di Pif  ed egli conferma che il primo a chiamarlo così è stato la “iena”  Marco Berry nel corso di un viaggio di lavoro.

Viola ricorda poi il suo programma “Il testimone”, programma che racconta da vicino i dettagli di vita quotidiana di personaggi legati a sport, politica, spettacolo sempre su MTV, chiedendogli come lo abbia pensato. Pif risponde che, maniacale ed un po’ egocentrico quale ammette di essere, ha deciso di intervistare politici, imprenditori e persone qualunque, da solo e armato di una telecamerina, scegliendo, di volta in volta, da regista, le inquadrature migliori, organizzando pause e circostanze particolari.

Il giornalista Viola ha poi ricordato il suo racconto “Sarà stata una fuga di gas” in Dove Eravamo. Vent’anni dopo Capaci e via D’Amelio, in commemorazione dei 20 anni dalla morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. In merito alle morti dei due magistrati ed in particolare di Borsellino, Pif si chiede e chiede al potere del tempo, come sia potuto accadere che egli sia stato lasciato solo nella sua guerra alla mafia quando, dopo la morte di Falcone, si sapeva benissimo che sarebbe toccata a lui.

Lo stesso Borsellino, ricorda, cercava di non abbracciare i figli perché non sentissero troppo la sua mancanza quando sarebbe morto, perché lui sapeva che lo avrebbero ammazzato, ma lo sapevano tutti e allora perché è stato lasciato solo?  Chiede Pif accalorandosi.

In maniera leggera, ma un po’ impertinente, Viola gli chiede dei suoi rapporti con lo scultore danese, rivale di Canova, Bertel Thorvaldsen e della sua discendenza dal personaggio.

Pif risponde che in famiglia era zio Alberto, come egli stesso aveva deciso di farsi chiamare durante il suo soggiorno a Roma e ricorda di un ritratto che lo raffigurava, immagine sotto la quale egli giocava sotto lo sguardo serioso dell’artista scultore, personaggio perciò familiare che lo ha portato spesso a visitare il Museo Thorvaldsen a Copenaghen.

Di se stesso Pif ha raccontato di come gli piace mettere in crisi, graffiare la realtà, ma con l’onestà intellettuale di un siciliano educato all’onestà e al rispetto delle regole.

All’intervista è poi seguita la proiezione del suo film del 2021: “E noi come stronzi rimanemmo a guardare”, commedia satirica con elementi fantascientifici in cui la tecnologia è vista come nuova forma di caporalato, proiezione che il pubblico, nonostante la pioggia incipiente, ha gradito ed applaudito.