“Sordi per noi romani è un po’ come per voi Mastella”, tra le battute sarcastiche del presentatore romano, ospite della quarta serata del Festival.
Paolo Bonolis, conduttore televisivo, showman ed autore di molte felici trasmissioni, è stato protagonista della quarta serata del Bct, il festival del cinema e della televisione di Benevento, nell’incontro predisposto dall’organizzazione in suo onore a Piazza Roma.
Accolto da un caloroso applauso, l’artista, fedele al suo personaggio, ha immediatamente intrattenuto il numerosissimo pubblico presente, in un racconto, tra la memoria e l’esilarante descrizione di momenti particolari della sua vita artistica e personale, memorie che ben presto hanno coinvolto i presenti in una specie di diretta televisiva durante la quale sono stai numerosi i momenti di ilarità e risate.
Intervistato dalla giornalista della redazione spettacoli di Sky Tg24 Martina Riva, in merito al successo della sua carriera, Bonolis, dopo aver salutato tutti i “beneventini”, ammette, con sarcasmo, di voler continuare il suo lavoro finchè “il fascino sottile della decomposizione delle carni” non gli impedirà di farlo.
Racconta di aver iniziato il suo lavoro con i bambini, con la trasmissione “Bim Bum Bam”, programma nel quale ha voluto parlare ai piccoli non nel modo smielato della tradizione, ma con immediatezza e realtà, con un procedere che ha decretato il successo del programma stesso, continuando poi con l’altra trasmissione “3,2,1…contatto” diretto ai ragazzi.
Continua a raccontare, sempre con simpatia, di aver poi continuato con gli adulti e, scherzando con se stesso ed il pubblico, ha ammesso che gli manca solo “frontiere dello spirito” e poi ammette di avere chiuso il cerchio della sua professione.
Alla domanda se al ricordo della sua attività da giovane avesse più nostalgia o tenerezza, egli ammette che, avendo tutti un passato, è bello però godersi il presente, senza malinconia, cosa che finisce con l’intristire.
Ammette ancora di non aver pensato da giovane di fare il mestiere che poi lo ha reso famoso, voleva fare la carriera diplomatica, laureandosi in Scienze Politiche…per poi cambiare mestiere, rivela con grande ironia.
L’intervista è stata spesso momento di interazione con il pubblico che di sovente è intervenuto dalla sala per chiedere o suggerire possibili risposte.
Racconta poi del suo primo libro “Perché parlavo da solo”, composto da suoi scritti integrati da interviste ed in cui racconta alcuni episodi della sua vita ed accenna al suo secondo lavoro “Notte fonda”.
Parla poi dei suoi viaggi, fra cui quello alle isole Galapagos ed il suo “incontro/scontro” con due leoni marini e l’esilarante rapporto con i due animali.
Ricorda ancora la sua balbuzie da bambino e di come sia riuscito a vincerla attraverso la recitazione, che gli ha fatto superare “l’affollarsi dei pensieri” e la sua “zagaia”, come si dice simpaticamente in romanesco.
Alla domanda sul fatto che sembra che lui si diverta durante le sue trasmissioni, Bonolis risponde che è certo che per divertire gli altri devi prima essere tu a divertirti, perché a lui piace vedere che le persone stanno bene e se lo fanno per suo merito ne è felice.
Ammette poi di aver amato la comicità surreale di Cochi e Renato, ma coloro che hanno fortemente influenzato la sua vita professionale sono stati, ammette, certamente, Corrado Mantoni con la sua divertente trasmissione “La Corrida – dilettanti allo sbaraglio”, da cui si è ispirato per il suo programma “Avanti un altro”, e Raimondo Vianello. Di quest’ultimo racconta un paio di episodi capitati durante alcuni incontri che gli hanno fatto apprezzare il cinismo e la sua sottile ed intelligente ironia.
A seguire sono stati proiettate clip di alcune sue trasmissioni come “Ciao Darwin” e “Avanti un altro”, ma soprattutto durante quest’ultimo estratto del programma, l’interazione con il pubblico di allora durante la trasmissione, ha letteralmente fatto sciogliere i presenti in risate fragorose e contagiose.
Non poteva, per Bonolis, mancare il ricordo di Alberto Sordi, di un attore maestro di recitazione ed ironia – racconta che alla sua morte i romani abbiano esposto uno striscione con su scritto “a Marchese rialzati, basta co sti scherzi”, un personaggio importante per i romani “come per i beneventani Mastella” continua con divertito sarcasmo.
Simpatici i ricordi di suo padre, milanese di nascita, ma poi diventato romano verace, del quale rammenta l’esilarante episodio di un tamponamento da lui subito ed al quale il papà ha risposto con un termine volgare e romanesco di grande valore di comicità.
Altro aneddoto divertente che racconta è quello che ha per protagonista Mike Buongiorno e Alberto Sordi durante i festeggiamenti per i venti anni di Canale 5, momento a cui lui era presente da giovane artista, un incontro di due “mostri dello spettacolo”, come lui li definisce, che si sono canzonati sull’età e all’affermazione di Buongiorno in merito al fatto che lui faceva attività fisica di diverso genere e del perché lui, Sordi, non facesse lo stesso, quest’ultimo ha risposto con fine sarcasmo : “’a Mike, la vecchiaia è una brutta bestia, a chi le piglia le gambe e a chi gli piglia la testa!”
Dopo un ricordo di Enzo Bottesini a “Rischiatutto”, che durante la trasmissione, presentandosi come sub professionista, si è sentito rispondere da Mike che anche lui era un “sub..normale!” ed uno affettuoso a Luca Laurenti, collega e fratello d’arte e di vita, la serata è scivolata piacevolmente ed allegramente verso la sua conclusione, fino alla premiazione di Bonolis da parte di Antonio Frascadore, direttore artistico del Bct, per il suo impegno televisivo e professionale.
Al Bct di Benevento irrompe Can Yaman accendendo il delirio tra le sue fan
Nella terza giornata del Bct di Benevento irrompe Can Yaman, attore e modello turco lungamente atteso dalle tantissime fan che hanno affollato Piazza Roma. Rilassato e ammiccante, trascina le tante donne presenti nel piazzale in un turbinio di urla, lancio di baci, eccitazione psicologica e irrequietezza che danno molto da fare alla security addetta al controllo dell’evento.
L’incontro assume caratteri stupefacenti, infatti ancora prima del suo arrivo sul palco, in più occasioni, le tante fan presenti hanno avuto l’impressione che l’attore stesse arrivando da direzioni diverse e per questo, armate di telefonino e improbabili taccuini per l’autografo, si sono alzate, all’unisono, gridando di gioia e chiamandolo per nome.
Quando finalmente egli è comparso sul palco, mentre una marea di persone si sono riversate verso le transenne mettendo a dura prova la sicurezza, nella piazza è risuonato un boato di urla di gioia e compiacimento ed egli, forte della sua prestanza fisica e di un sorriso davvero accattivante, ha salutato tutti con la sola sua presenza e, con aplomb, ha salutato la giornalista Martina Riva, sua intervistatrice, rivolgendo uno sguardo “complice” alle tante donne convenute in piazza per vederlo che si sono lanciate in urla di entusiasmo.
Amore per il Cinema? In questo caso il Bct è fenomeno secondario, rappresenta solo un pretesto per godere della presenza di un giovane aitante che non si sottrae all’affetto delle sue fan.
Tra il pubblico un gruppo di sostenitrici espongono uno striscione con il volto di Yaman dichiarandosi “Le Yamanine”.
Sul palco, accanto all’attore, erano presenti Francesco Cirulli, Presidente dell’Associazione benefica “Can Yaman For Children” e Francesco Pisani, primario di Neuropsichiatria infantile al Policlinico Umberto I di Roma, testimoni dell’impegno sociale di Yaman contro i disagi giovanili. Argomento di chiara importanza sociale, ma tra il pubblico l’attenzione era solo per l’animatore del tema sociale, infatti dalla piazza, però durante l’intervento del professore, è partito un acuto: “bellissimo!”, rivolto a Yaman.
Momento particolare è stato anche quello messo in atto da Yaman alla proiezione di una prima clip della serata sul suo lavoro; improvvisamente e imprevedibilmente, egli è saltato giù dal palco verso la platea per, secondo quanto ha spiegato poi, godersi il video da prospettiva migliore. Il gesto ha scatenato l’arrembaggio delle fan che, lasciati i posti a sedere, si sono riversati verso di lui acclamandolo e “rompendo le righe” stabilite dalla sicurezza che, a grande fatica, ha allontanato la calca di persone che, senza pudore, era salita anche sul palco.
Momento di timore, ma anche esilarante per chi, da lontano, ha assistito al fatto.
Finalmente l’intervista riprende grazie alla Riva che ricorda la gavetta fatta dall’attore in Turchia, i suoi primi lavori come la serie “Day Dreamer”con i quali, risponde Yaman, ha imparato a recitare per ore sul palco, anche 150 di seguito, perché così si lavora nel suo paese nel cinema, ma ha anche fatto esperienza di recitazione fatta di azione, ma anche di sentimenti.
Avendo studiato in una scuola italiana, Can Yaman perla un ottimo italiano, lingua nella quale si è espresso con disinvoltura e, grazie alla conoscenza della quale, ha lavorato per una serie televisiva italiana, girata a Civita Castellana, dal nome “Viola come il mare”. In merito egli ha dichiarato: “Quando ho recitato per la prima volta in Italiano mi sentivo una pippa, ma sono una persona molto ambiziosa e sicura di sé. Le sfide non mi spaventano”.
Ha dichiarato di amare Benigni, di cui ha visto tutti i film e il regista Ozpetek. Ha inoltre rivelato che è in cantiere una serie su Sandokan, che dovrebbe iniziare a marzo prossimo. Ha dichiarato infine di amare l’Italia e ha detto: “Sono stato due ore qui, mi sembra una bella città, molto accogliente. Ma io amo l’Italia, c’è molto meno caos rispetto alla Turchia e mi riconosco nella mentalità del suo popolo”.
Ha riferito di come tutti gli parlassero di lui come di un qualcuno che emanava un profumo particolare e, per questo, ha deciso di produrne uno che, per la serata è stato anche in vendita.
Riva gli ricorda di aver prodotto una biografia ed egli risponde di averlo fatto per mettere fine alle fake news sul suo conto e raccontare la sua vita prima che diventasse famoso, ragazzo normale, ma con una prodigiosa capacità di imparare e memorizzare, cosa, ha continuato, che gli hanno insegnato a fare i docenti della scuola da lui frequentata.
Dichiara poi di amare il suo lavoro, ma di volerlo fare con impegno e in sinergia con quanti collaborano con lui, nel rispetto di tutti, ma soprattutto in modo sempre più attento e preciso, secondo il suo modo di essere e pensare.
In chiusura di serata Antonio Frascadore, Direttore Artistico del Bct, gli ha consegnato due premi da parte della rassegna Bct.
Emblema del sex symbol, Can Yaman si rivela anche, con il suo intervento, uomo maturo e sincero, legato ai valori della vita e, soprattutto, vicino a chi è in difficoltà, un giovane quasi perfetto che si affeziona alle persone ed ai progetti che porta avanti, anche per questo una moltitudine di gente, in stragrande maggioranza donne, gli hanno tributato attenzione, interesse e vera passione, nella speranza forse di poter solo sfiorare i suoi muscoli scolpiti.
Al Bct di Benevento, Marco Bellocchio e l’opera “Rapito”, splendida lezione di cinema (FOTO)
Nella seconda serata del Bct ( Festival Nazionale del Cinema e della Televisione) di Benevento, particolare rilevanza e interesse ha suscitato la presenza del regista, sceneggiatore e produttore cinematografico italiano Marco Bellocchio.
Calorosa l’accoglienza del numerosissimo pubblico presente in Piazza Roma, tutti in attesa di ascoltare le parole dell’artista e, a seguire, godere della proiezione del suo film “Rapito”, opera con la quale il registra ha ritirato 7 Nastri D’Argento 2023 come miglior film, per la migliore regia, per la migliore attrice protagonista, per la sceneggiatura, per l’attore non protagonista, per il montaggio e per la produzione. L’opera ha ricevuto quindici minuti di applausi al Festival di Cannes.
Accolto sul palco dalla giornalista Martina Riva, il discorso si è subito incanalato sul film “Rapito”, sul suo andamento storico, morale, di potere della Chiesa e, soprattutto, di Papa Pio IX.
In merito alla storia, su domanda della Riva, Bellocchio racconta di essere stato ispirato dalla lettura di un libro, scritto da Vittorio Messori, un cattolico piuttosto integralista, proprio sulla vicenda di Edgardo Mortara, testo scritto per difendere la scelta del Papa di prendere il bambino e in seguito alla pubblicazione del libro di David Kertzer ( “Prigioniero del Papa Re”) .
La storia vera di Edgardo Mortara è quella di un bambino di sei anni di Bologna che, dopo essere stato battezzato da una domestica che temeva per la vita del piccolo e che potesse essere destinato al “limbo”, il tutto senza che i genitori ebrei lo sapessero , viene prelevato dal maresciallo Lucidi. Era il 23 giugno 1858, giorno in cui il bambino viene “rapito” dalle autorità ecclesiastiche per essere portato in un luogo segreto, senza che né il padre, Momolo Mortara, né la madre, Marianna Padovani, potessero impedire il tragico gesto.
Bellocchio dichiara di aver voluto fare il film sulla tragica vicenda del bimbo ebreo per la grande emozione che il caso aveva suscitato in lui, non per polemiche pro o contro il cattolicesimo, ma solo come rievocazione di una vicenda dolorosa e triste. Riflessioni e discussioni sull’evento e sul potere papale in quegli anni in netto calo, verranno dopo il film; ricordiamo che l’opera cinematografica è ambientata negli anni della seconda guerra di indipendenza italiana e anche gli anni in cui i territori sotto il controllo papale erano stati erosi dagli eventi risorgimentali e, lo stesso Pio IX, Papa dell’epoca, vedeva il suo potere universale in forte crisi e dunque fece del caso Mortara un metodo per mostrare che fosse ancora determinante.
La vicenda Mortara dunque si innesta all’interno di un quadro sul controllo del potere da parte del Papa e dell’assoluta condanna cattolica di altre forme di fede che non fossero quella cattolica, è la vicenda di un bambino conteso all’interno di una storia più grande di lui. La notizia di questo rapimento, racconta ancora Bellocchio, si diffuse prima in Italia, poi in Europa e anche in America e tutta la comunità ebraica si ribellò e cercò di convincere, inutilmente, il Papa a restituire il bambino.
Il Papa però, seppure accerchiato, volle sempre tenere il bambino, simbolo del suo potere, che poi, nonostante incontri con la madre ed il padre, finirà con il restare volontariamente a Roma divenendo anche sacerdote e poi missionario.
Bellocchio afferma di volere che l’attuale Papa Francesco, che vedrà in udienza venerdì, veda il suo film, vista la grande apertura mentale e morale del nostro Pontefice.
Edgardo Mortara, continua Bellocchio, era solo un bambino che, nonstante cerchi all’inizio di mediare il suo mondo ebraico con quello cattolico, continuando a ripetere le preghiere della sua fede, per senso di sopravvivenza, si chiude in se stesso di fronte ad una realtà tanto più grande e potente di lui con cui non poteva confrontarsi e combattere, anche perché ribellarsi sarebbe stato impossibile e finisce così per accettare la religione cattolica, sostenuto in ciò dall’atteggiamento di Pio IX che si rapportava a lui in modo benevolo e quasi paternale, sovrastato inoltre dalla teatralità cattolica da cui resta colpito.
Rimandando le riflessioni sul film “Rapito” che sarebbe stato proiettato in piazza a breve, la Riva ha ricordato poi al regista la sua candidatura politica del 2006 con il partito radicale della “Rosa nel pugno”. Egli conferma di avere fatto la sua scelta politica condividendo gli ideali e l’integrità morale e sociale che quel movimento prometteva e, pur non essendo stato eletto, avendo conosciuto anche Pannella, ha approvato quella posizione politica.
Vengono poi ricordati dalla Riva altri lavori significativi cinematografici di Bellocchio come, tra gli altri, “Esterno notte” e “Buongiorno notte”- sulla storia del rapimento Moro – e “Il Traditore”- intorno al personaggio Tommaso Buscetta, ma anche tantissimi altri capolavori come lungometraggi che il regista ha prodotto ricevendo innumerevoli riconoscimenti, tutti intrisi di verità sociali ed emotive che hanno coinvolto il pubblico e la critica.
In merito vengono proiettate alcune sequenze di alcuni film, soprattutto una scena di “Esterno notte” in cui si è potuto assistere ad uno splendido Fabrizio Gifuni nell’interpretazione di Aldo Moro in confessione.
I film da lui girati, afferma il regista, sono ricostruzioni di fatti storici a cui però non manca mai un’aurea di invenzione, necessaria per elaborare una storia in forma filmica e per distinguere un’opera cinematografica dal lavoro di uno storico.
Al termine dell’intervista, Antonio Frascadore, direttore artistico della manifestazione, consegna al regista un premio per la sua presenza al Bct di Benevento.
E’ poi seguita la proiezione del film “Rapito” a cui hanno assistito, affascinati dalla trama e dalla tecnica cinematografica di Bellocchio, i tantissimi presenti in piazza.
Bct, l’artista sannita Mimmo Paladino presenta la sua “Divina Cometa”
Il BCT (Festival Nazionale del Cinema e della Televisione), manifestazione nata sette anni fa come luogo di incontro con protagonisti del piccolo e grande schermo, ideato e diretto da Antonio Frascadore, ha visto, nella sua realizzazione corrente, fra gli altri, l’appuntamento con l’artista, pittore, scultore e incisore Mimmo Paladino, uno tra i principali esponenti della transavanguardia italiana, una delle correnti del postmodernismo.
In occasione della manifestazione, Paladino ha presentato la sua ultima opera artistica, il film “La divina Cometa”, opera realizzata attraverso un mosaico di parole che si rifà ai grandi del Teatro, della Letteratura e della Filosofia e che vede, nel suo numeroso cast di bravi attori, Toni e Peppe Servillo, Francesco De Gregori, Alessandro Haber e Sergio Rubini.
All’interno del sito Unesco di Piazza Santa Sofia, la giornalista Martina Riva ha intervistato il maestro della transavanguardia che, sannita doc – è nato a Paduli -, è riuscito a portare la sua arte nel mondo.
Egli ha ricordato, simpaticamente, come Francesco De Gregori abbia accettato con entusiasmo di partecipare al film in quanto sarebbe stato in scena con un asino, paragonando la musica al raglio dell’asino. La sua partecipazione ha riportato alla mente di Paladino il suo amico Lucio Dalla, straordinario emblema della musica italiana e già prezioso attore del suo altro film del 2006 “Quijote”.
Paladino si dichiara felice di presentare il suo film nella città della sua terra e in una piazza tanto importante e significativa, sia dal punto storico che artistico e dichiara: “Qui sono a casa e sono contento che questa sera (ieri ndr) posso presentare alla mia comunità un lavoro che è stato duro e faticoso. L’arte è condivisione e il cinema è un’arte corale” spiega Paladino”.
Egli tiene a precisare che Benevento è una città metafisica, come diceva Domenico Rea, e lo spazio di piazza Santa Sofia lo è in modo particolare, infatti proprio in questa piazza è stata girata l’ultima scena del film. Questa la ragione per cui nell’opera cinematografica c’è un’atmosfera di luci, nebbia, come appare Benevento in autunno o in inverno, tempo di nebbie e immagine perfetta per il suo nuovo lavoro.
La Riva ricorda a Paladino che durante la produzione del film il titolo assegnato all’opera era “Inferno”, poi mutato in “La divina Cometa” e gli chiede come è nato il nome dell’opera.
Egli risponde che durante le riprese era più semplice attribuire al lavoro un nome veloce e immediato e, solo dopo, il titolo è stato perfezionato.
La Riva ricorda la partecipazione al film di Giovanni Veronesi, attore che recentemente ha vinto il Nastro d’Argento come “Miglior Cameo”, per questo viene proiettata una breve sequenza di una scena con Veronesi; gli ambienti che lo circondano nel film e la fine recitazione poetica, su un testo scritto da lui stesso, ricorda, nell’invenzione recitativa, il personaggio Totuccio Contorno.
Il leitmotiv di tutto il film, afferma Paldino, sta proprio nel suo alternarsi di poesia, letteratura e vita di tutti i giorni, con le sue abitudini ed i suoi difetti, come in un presepe, dove in alto c’è la natività ed in basso, dentro le grotte, c’è la lavandaia, il macellaio, il bestemmiatore e, in alto Benino, addormentato e disinteressato all’evento santo.
Un’umanità varia che rappresenta la vita, reale e non artificiale, che trascina nella storia di una successione di quadri: una banda che suona “ Tu scendi dalle stelle” ( a Gesù bambino), un uomo vestito da Dante ( Sergio Vitolo), testimone impassabile degli eventi e una madre, un padre e un figlio che scendono dal treno alla stazione di Pietralcina e cercano il numero “25”, quasi un numero civico, quasi simbologia della natività.
C’è anche un numerologo che pare raccontare il viaggio tra i gironi infernali e, contemporaneamente, tra le grotte del presepe, il conte Ugolino e Paolo e Francesca che si muovono tra episodi della storia e della pittura e immagini simboliche e parole.
Ricordiamo che il film è girato in Campania tra Benevento, Paduli, Apice, Pietrelcina, Solopaca, Rotondi e Napoli, e anche in Puglia tra Monte Sant’Angelo e Mattinata in Puglia. E’ una celebrazione della terra nativa di Paladino, di luoghi in cui ha vissuto, ha maturato la sua vita personale e artistica, che hanno lasciato in lui un segno profondo di ricordi e amore sinificativo per spazi, strade, scorci, colori ed emozioni che hanno trovato la loro rappresentazione nelle sue opere.
Un riconoscimento particolare viene offerto a Toni Servillo che, nell’opera, recita il ruolo del Conte Ugolino. In merito Paladino ricorda come alla sua richiesta a Servillo di aiutarlo nella realizzazione di un’opera che richiamasse Dante, quest’ultimo abbia subito accettato a condizione di interpretare il Conte Ugolino, un personaggio che però recita in Napoletano.
La lingua dunque come viatico tra letteratura e parlata di strada, tutta “La Divina Cometa” è un viaggio che incrocia l’Inferno di Dante con la tradizione del presepe napoletano e con la sua vita quotidiana. L’opera è quasi sogno e sogni che prendono vita, immagini nate da cose comuni che diventano simboli di visioni artistiche, come Paladino racconta di quando decise di bruciare alcune sue statue di legno abbandonate da tempo e di come poi, inaspettatamente, osservando i pezzi di legno bruciati sparsi, essi finirono con il diventare parte di una nuova opera d’arte fatta di armonia di tizzoni.
“La Divina Cometa” opera di simbolismi, che Paladino nega, ma chi vede il film non può non vedere, quasi un cammino tra ragione e immaginazione, viaggio utopico della “Divina Cometa” tra epoche e luoghi, con i Re Magi, strani filosofi quotidiani in viaggio, che rappresentano un’umanità perduta, tutto in un’opera forse complessa, ma affascinante che il numerosissimo pubblico presente nella piazza ha potuto, alla fine dell’incontro con l’artista, vedere e godere.
Benevento Festival BCT: Claudio Bisio emoziona Piazza Roma con la sua ironia ed il suo contagioso sarcasmo
Nella serata di sabato 16 luglio, all’interno della storica Piazza Roma di Benevento, l’attore, conduttore televisivo, comico, doppiatore, cabarettista ed umorista Claudio Bisio, ha coinvolto tutti i presenti con la sua ironia ed il suo irresistibile sarcasmo, semplicemente raccontando se stesso e le tante attività artistiche che lo hanno visto protagonista.
Intervistato dalla giornalista Sky Martina Riva, ha subito precisato che, fra le tante definizioni del suo lavoro, egli preferisce quella di attore.
Sollecitato nel raccontare il proprio cammino artistico dalla Riva, egli rievoca subito, quasi fucina delle attività artistiche successive, le sue scelte comportamentali nella scuola degli anni ’70, quando, politicamente impegnato, partecipava ad occupazioni e manifestazioni animando, nello stesso tempo, quanti intorno a lui.
Erano gli anni in cui, studente del Liceo Scientifico “Luigi Cremona” di Milano, fu anche attivista di Avanguardia Operaia, ma il suo impegno politico camminava sempre, di pari passo, con la sua passione per il teatro, infatti fu allora che incominciò a recitare al Centro sociale Leoncavallo.
In merito a quel tempo, egli ricorda di aver proposto ai suoi compagni, increduli, di invitare presso la sua scuola occupata Dario Fo, all’epoca già artista di fama. Incredibilmente il suo invito fu accettato e l’artista si presentò alla sua scuola intrattenendo i ragazzi con discorsi basati su pezzi del suo teatro. Fu un colpo di fulmine per Bisio, egli ha raccontato di essersi innamorato, da quel momento, del teatro di Fo e di aver deciso di seguire le sue orme artistiche.
La Riva gli chiede della sua esperienza al Piccolo Teatro di Milano e Bisio ricorda che, essendo risultato bravo nella sua passione teatrale, la sua insegnante del Piccolo, gli consigliò di giocarsi la carta della comicità. Furono quelli gli anni, come lui confessa, delle due anime, quella seria del teatro e quella di “pirla” nel cabaret.
Egli ricorda poi i suoi più importanti riferimenti artistici : il Teatro dell’Elfo, a cui apparteneva Paolo Rossi e Gabriele Salvatores e punto di partenza delle sue prime apparizioni al cinema ed in televisione – La Riva ricorda allora la sua apparizione nel 1990 nel videoclip della canzone “ Megu Megùn” di Fabrizio De Andrè con la regia di Salvatores – l’esperienza di Zelig, da locale periferico ed alternativo a luogo di culto del cabaret milanese, luogo dove divenne co-leader di Elio e le Storie Tese. Zelig lo consacra inoltre come volto simbolo dello show che rimane in onda per oltre un decennio.
Gli viene chiesto quale sia la formula del successo di Zelig e Bisio risponde ricordando come un tale programma non potrebbe avere successo senza i comici, gli autori e le persone giuste, gruppo che solitamente prepara una scaletta con testi predefiniti che, sistematicamente, vengono stravolti nella conduzione del programma che fa dell’improvvisazione la sua chiave del successo.
Egli ricorda poi la sua emozionata partecipazione al film di Gabriele Salvatores “Sogno di una notte d’estate” del 1983, trasposizione cinematografica di “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare, film che richiese impegno perché spesso capitava di fare tripli ruoli.
Il regista che però ricorda con grande emozione e con il quale ha lavorato è stato Mario Monicelli, anche se, è inevitabile ricorda la Riva, un suo film di grande successo è stato “Mediterraneo” , con la regia di Salvatores. In merito al film vengono proiettati, sul grande schermo, alcuni passaggi dell’opera e Bisio si lascia andare a ricordi dei compagni di quella produzione, primo fra tutti l’amico Diego Abatantuono.
La Riva gli ricorda la sua partecipazione al Festival di San Remo e Bisio rievoca alcuni sketch con Claudio Baglioni del quale rimaneggia sul palco, ironicamente e con semplici gesti, il testo di una sua canzone, che il cantante stava intonando inserendo la punteggiatura opportuna al testo della melodia.
Impossibile, ricorda l’intervistatrice, non menzionare altri suoi significativi lavori come il film “Benvenuti al Sud” e “Benvenuto Presidente” dei quali vengono proiettati alcuni highlights sul maxi schermo. Bisio ricorda la scelta degli autori di “Benvenuti al Sud” di fargli indossare, durante le riprese, un giubbotto antiproiettile, quasi sinonimo di un sud malavitoso e pericoloso. La cosa non gli piaceva perché gli sembrava offensivo per il popolo del Sud d’Italia.
In realtà la cosa invece è stata letta, dagli stessi abitanti del meridione, come esilarante e per questo atteggiamento egli riconosce ai meridionali spirito autoironico ed intelligenza.
Viene poi menzionata la sua partecipazione a “Striscia la notizia” ed egli ricorda con simpatia quegli anni nei quali, negli incontri di redazione, trovava un gruppo animato e coeso sotto la guida di Antonio Ricci.
In merito alla sua vita privata egli ricorda il sodalizio artistico e umano con sua moglie Sandra Bonzi con la quale ha pubblicato un libro scritto a quattro mani : “Doppio misto. Autobiografia di coppia non autorizzata”, uno scritto brillante che racconta ironicamente la storia della loro vita di coppia.
Essendo Bisio anche doppiatore, viene ricordato dalla sua intervistatrice, il suo lavoro di voce del bradipo Sid nella saga dell’Era glaciale. Proprio in merito al doppiaggio Bisio racconta delle difficoltà di riprodurre, con la voce, i suoni vocali e le inflessioni dei personaggi da doppiare.
Una menzione affettuosa e canzonatoria va, da parte dell’attore alla sua interpretazione dell’opera “La mia vita raccontata male” di Francesco Piccolo, nella quale, come testimoniato da un esilarante highlight dell’opera proiettata su schermo, Bisio racconta della mania, probabilmente casertana e di Piccolo, di non bere acqua dopo il latte. Ha confessato poi di conoscere tanta gente che lo fa e sta bene e allora da dove nasce questa fisima? La battuta è sottolineata dagli applausi entusiasti del pubblico.
La serata si conclude con un premio alla carriera dato all’attore da Antonio Frascadore, ideatore e direttore del BCT e dall’applauso convinto e affettuoso del pubblico di Piazza Roma.
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